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Ciao a tutti! Questo sarà un post in evidenza che aggiornerò man mano che il Romanzo FantaSì verrà composto. Prima di iniziare volevo in...

domenica 27 gennaio 2019

Capitolo 3: Il Villaggio di Khaywan - PARTE 1

Passarono un paio di giorni come sospesi in una bolla statica. Il terreno morbido accarezzava le suole con ciglia verdi, solleticando le caviglie con numerosi fiorellini profumati e dai colori vivi. Alcune varietà di uccelli stagionali intonavano dei canti portati da una piacevole brezza che mitigava la morsa del sole. La luce era brillante ed accentuava l'affresco del paesaggio circostante, i monti offrivano non solo uno spettacolo multiforme da ammirare, con le loro rughe in bella vista, ma anche un solido punto di riferimento per orientarsi in quelle lande. 

La compagnia marciava in silenzio, Artan chiudeva la fila tenendo l’occhio fisso all'orizzonte ma con l’attenzione sui bambini che gli camminavano davanti. Ad aprire la strada vi era un Kafraghas borbottante che si muoveva sotto minaccia della balestra di Jonas. La mostruosa cavalcatura dei soldati si era dissolta insieme alla megera la sera prima, quindi il gruppo proseguiva a piedi. Il viaggio non costava fatica, i soldati avevano sufficienti razioni per tutti ed il pensiero del pericolo scampato rendeva quella piccola fatica qualcosa di addirittura piacevole.

Il monco ricordava che da quelle parti vi era il villaggio di Khaywan, oltre il nome nulla conosceva di quel luogo ma quantomeno rappresentava un porto civilizzato dove poter chiedere aiuto alle autorità del luogo. In quella situazione i militari sapevano benissimo cosa fare per potersi coordinare in qualche modo con la parte del gruppo dispersa. Di avamposto in avamposto verso la località finale avrebbero lasciato notizie ai loro colleghi locali sulla loro provenienza e dove fossero diretti, così avrebbe fatto anche il tenente o chi per esso per poter lasciare una traccia su dove proseguire e dare una stima dei tempi. Per chi si fosse trovato avanti sulla tabella di marcia sarebbe stato consono rallentare e procedere con più calma, mentre chi seguiva avrebbe accelerato il passo optando per un’andatura più spedita così da far assottigliare le possibilità di rincontrare la parte del gruppo dispersa.

A cambiare ritmo alla marcia fu il gracchiare dei corvi che anticipò una compagnia di uomini durante una sosta. Sopraggiunsero in numero ed armi mentre Artan era intento a mostrare ai bambini come accendere un fuoco, il barbaro sollevò lo sguardo e restò in attesa accigliato.

- Mai visto dei banditi con i mocciosi al seguito - Borbottò quello che pareva il capo
- Perché banditi nun semo - Gli sputò in risposta Artan
- Un barbaro - Commentò un soldato che era sopraggiunto con il nuovo gruppo, il maggiore in grado annuì
- Dove siete diretti - Sbrigativo il primo, mentre i suoi uomini cominciavano a circondare il falò
- Khaywan - Rispose Artan cominciando ad allarmarsi, cercando Jonas con lo sguardo che era accanto ad una tenda, teso anch'egli come la corda di uno strumento
- Immagino che tu sia la mamma - Alludendo di nuovo ai bambini, il capo di quella compagnia armata accennò un ghigno mentre i suoi uomini, dopo aver circondato il falò, posarono le mani sulle else delle spade.

Artan aveva lo sguardo ferino rivolto verso l’uomo che gli rivolgeva la parola, intanto però il suo moncherino si poggiò accanto alla catena appesa alla cintura, stava quasi per agganciare la palla chiodata quando:

- WEWEEEEE LASSAT STA’ E CRIATUR - Kafraghas spuntò fuori dalla tenda facendo trasalire tutti, aveva sostituito i pantaloni mancanti con un telo che gli faceva a mo’ di gonna, un panno gli avvolgeva il capo nascondendo le orecchie a punta ma lasciando cadere i lunghi capelli platino sulle spalle, e visto che c’era si era imbottito pure la camicia all'altezza del petto per darsi delle forme - E FIGGHI MII NUN S’ TOCCAN - mentre a quelle parole i ragazzini spaventati si riunirono intorno l’elfo in cerca di protezione.

Dapprima i soldati trasalirono, poi il loro capo distolse l’attenzione da Artan muovendo qualche passo verso Kaf con aria curiosa - Ma.. Ma.. - L’uomo si grattava perplesso il mascellone cercando di riordinare le idee - Sono tutti figli vostri? -

L’elfo piegò un ginocchio abbracciando i bambini e stringendoli con forse un po’ troppa forza - E SI, SO TUTT FIGLI MIJ, E STAT FACENN METTER A PPAUR SCUORNACCHIAT! - Protestò il travestito sbraitando con la voce elfica che poteva benissimo passare in qualche modo vagamente femminile.

Artan era lì ad osservare la scena con la bocca schiusa ed immobile, Jonas gli faceva eco, l’altro uomo invece si tolse subito l’elmo in segno di rispetto, stringendolo al petto - M.. Mi perdoni signora, siamo soldati di Khaywan, è che queste pianure pullulano di banditi e di goblin, pensavamo avessero rapito questi bambini - Il tono era fra l’incerto e l’esitante, l’uomo parlottava mentre cercava di capire le reazioni della “donna”. Kafraghas si rimise in piedi facendo scappare i bambini nella tenda, un paio di uomini della compagnia traducevano ai commilitoni le parole in quella lingua strana, simile al comune sebbene così diversa, ipotizzarono un dialetto delle Pianure Sanguinarie data la presenza così marcata di Artan, che prese poi la parola dopo essersi schiarito la voce con un paio di colpi di tosse.

- Allò, semo sordati de Hops, avemo attraversato a’ palude ma se semo persi cor tenente nostro, tenemo da annà a Khaywan pe’ na sosta e se dirigemo pe la capitale, e n’tanto vedemo pure se er tenente c’ha lassato a’ staffetta - Il barbaro si affrettò a spiegare la situazione, andando poi ad indicarsi - Io so’ Artan - Poi buttando il pollice dietro la spalla proseguì - Quelli so’ Jonas e Ka.. -

- KARMELA! - Si affrettò a concludere Kafraghas
- Eh, Karmela, sìsì - Annuì Artan
- Ahh, Karmela. Piacere di conoscervi, io sono Palindor - Il capo della compagnia si presentò scavalcando Artan alla bell'e meglio, avvicinandosi con un sorrisone compiaciuto verso l'elfo - Signora, permettetemi di dire che nonostante abbiate avuto tutti questi figli il vostro fisico è ancora impeccabile, ed il vostro viso di una dolcezza infinita

L’elfo fece un passo indietro, Jonas ficcò la testa nella tenda per controllare i bambini e sghignazzare in pace.
- Psst, che spaccimm tien a rirere - Borbottò il travestito sottovoce, poi sollevò un occhio ad intercettare Palindor che intanto gli si avvicinava ed abbracciò Jonas - Ammor mìj! - Il soldato trasalì ma Kafraghas serrò la stretta fino a fargli male, per poi sussurrare - We, chist m’o vò mett’r accùl -
- Diamine Kafraghas! - Borbottò Jonas facendo morire lì il seguito dell’imprecazione
- Statt zitt - Rincarò l’elfo minacciando il soldato con un coltello nascosto nella manica, l'altro deglutì ed annuì, incassando un sonoro bacio sulla fronte.

Palindor quando fu a pochi palmi da loro si riabbuiò - Vi accompagno a Khaywan - Disse soltanto, Artan annuì, rispondendo per tutti.

Fu un viaggio piuttosto lento, non solo per i bambini che avevano meno tolleranza degli adulti all'adattamento in altri ambienti, ma anche perché il militare che comandava la pattuglia di Khaywan si muoveva in modo da evitare sentieri troppo battuti, di tanto in tanto si fermava e faceva allontanare le sentinelle per una ricognizione, organizzava turni di guardia piuttosto rigidi. Arrivarono ad un punto in cui erano costretti a seguire un fiume, la cosa rallegrò la compagnia perché finalmente potevano farsi un bagno, rifocillarsi di acqua fresca ed avere un fianco protetto. Kafraghas era costretto a lavarsi in disparte con Jonas attaccato al groppone, il soldato di Hops aveva paura di lasciarsi scappare il prigioniero.

Trovarono una porzione di sponda riparata da un tronco collassato su di un grosso masso a formare una parete. Jonas era veloce con la balestra e l’elfo lo sapeva, era ad asciugarsi i capelli con gli abiti ai piedi con tutta calma, dando la schiena al carceriere.

- Ma insomma, quindi saresti un elfo -
- Eh
- Vi credevano tutti o estinti o in terre sconosciute da millenni -
- Bhò
- La smetti di rispondermi a monosillabi? Ti sembra tanto strano che siamo incuriositi da qualcosa che non dovrebbe esistere? -
- Vabbuò -
Jonas sbuffò - Come sei arrivato qui -
- Pe mezzo d’à maggìa -
- La magia?
- A-ahn - Mugugnò l’elfo annuendo
- E come? -
- M’hann iettat dint’o’ futur -
- Cioè vieni dal passato? Una magia ti ha portato qui nel f.. -
Lo stupore del soldato fu interrotto da un rumore sordo, Palindor era lì che li spiava, i suoi occhi su Kafraghas e la sua identità rivelata.

L’elfo restò immobile, Jonas aveva sempre la mano alla balestra anche se con un altro bersaglio.

Silenzio.

sabato 19 gennaio 2019

CAPITOLO 2 - Parte 4: Le Paludi - FINE CAPITOLO


- È arrivato il momento, andiamo a prenderlo!

Ma le streghe, andando per avvicinarsi alla botola, videro che il loro prigioniero era libero ed assolutamente tranquillo e le aspettava tenendosi appoggiato ad una credenza con il gomito. La casacca dell’elfo era parzialmente slacciata fino allo sterno cadeva morbida infilandosi vaporosamente nei pantaloni che erano stati tirati un po’ su nelle inguini, favorendo la mobilità di un’anomala, gonfia ed ondeggiante erezione che puntava trasversalmente appena verso il basso. Le megere puntarono subito, con enorme sorpresa, quella strana condizione e Kafraghas notando lo sguardo, diede due colpi di bacino per far ondeggiare il “batacchio”

- Tè tèèèèè, guardat ccà

L’elfo aveva un sorrisone soddisfatto e malizioso, intanto il suo corpo continuava a muoversi facendo ondeggiare ritmicamente più di venti centimetri di fallico all’interno dei pantaloni, al di sotto del quale aveva anche una sorta di sacca di pari importanza.

- Tè tèèèè, teng nu cazz che è quant è sta casa!

La megera con il capo completamente incappucciato allargò un braccio per bloccare la sorella più grassa e quella col cappello rosso.

- Come hai fatto a liberarti - Ringhiò la strega diffidente - Non lasciamolo scappare! -
Kafraghas a quelle parole inarcò un sopracciglio e si tolse dalla credenza, andando a portare le mani in avanti come segnale di calma

- We weee, signò, aspiett n’attim, arraggiunamm n’ziem!

La più grossa andò a grattarsi la tempia con l’indice - Cos’è che sta dicendo? - Borbottò insicura
- Non solo è scappato, vuole pure ragionare! - Rispose l’incappucciata
- Sentiamo cos’ha da dire - Aggiunse poi quella col cappello e con il multi-occhio a cuoricini sventolando ambo le mani verso le sorelle
- Cosa vuoi dire prima che ti incenerisca? - Incalzò la prima arrabbiata verso il prigioniero

- Allò - Tossicchiò Kafraghas - Ije m’aggiu liberato, vabbuò? - Con tono calmo ed accomodante, guardandole a turno annuire
- Embè, stev abbasci a chillu scantinat, invece e me ne fuì so rimast cà -
Le streghe annuirono di nuovo, effettivamente era rimasto lì invece di scappare
- Ce stev chella fenestr n’gopp llà, me ne fujev e me ne stev a cas tranquillo tranquillo, invece so rimast ccà -
Le megere si guardarono tra di loro rimbalzandosi la domanda fra gli sguardi – è ovvio che l’elfo sarebbe potuto scappare dalla finestra nel seminterrato.
- O’ sapite pecché? - Kafraghas colse quella domanda al balzo attirandosi gli sguardi - Embè, me piacit tropp assaje!

- Ti piacciamo - Borbottò la prima incrociando le braccia scettica, la sorella col cappello rosso saltellava di gioia mentre la più grossa si fece strada fra le due indicandosi - Tutte e tre?! -
L’elfo annuì
- Ne deve scegliere una, non puoi stare con tutte e tre! - Quella col cappello rosso cominciò ad innervosirsi, rivolgendosi alla sorella cicciona
- E perché dovrebbe sceglierne solo una? - Rispose quella col cappuccio
- Non è che “deve sceglierne una” - Quella con il cesto di vimini in faccia si piegò in avanti - Ma deve scegliere QUELLA GIUSTA, vero, SORELLINA? - Con visibile stizza, si rivolse verso la strega col cappello rosso che si pose davanti alle sorelle
- Sono stata io a reclamare quest’elfo ai miei piaceri per prima, è mio!, voi l’avreste semplicemente mangiato per compiere il rituale in fretta e furia, mentre invece non è detto che l’unione con lui nella carne debba avvenire per forza attraverso la digestione! -
- Ogni rituale di evocazione prevede l’unione per cannibalismo! - Protestò quella con la macabra collana
- Beh, però ha ragione, potremmo provare, e nel caso non dovesse funzionare ci saremmo divertite, sono secoli che.. – L’ultima lasciò la frase in sospeso, lasciando intendere
- WEWE - Esclamò Kafraghas mentre si strusciava lascivamente con la protuberanza contro la credenza - Povera piccerella, è nu sacc ‘e tiemp ca nun te faje na pellecchia? Vien addu l’elfett tuoje, ce penz ije, T’PIAC O’ TOZZABANCON EH?! - Concludendo con dei bacetti soffiati.

- NON TI PERMETTERE! - La strega col cappello rosso cominciò ad andare su tutte le furie mentre da ogni piega del corpo fuoriusciva una sorta di vapore nero che gelava l’aria intorno a sé - TU SEI MIO, E MIO SOLTANTO! - Concluse muovendo qualche passo verso il prigioniero prima di venire letteralmente incenerita sotto lo sguardo sgranato dell’elfo, davanti a cui restò soltanto un mucchio di cenere con su poggiato il copricapo, i resti della megera fecero da telone calato davanti alla strega più grossa che cominciò ad incedere verso il prigioniero intanto che il suo potere saettava iracondo con delle lingue di fuoco.

- Marònn! - Esclamò Kafraghas facendo un balzo indietro
- Vieni qui! - Replicò la strega con il cesto di vimini in faccia, dirigendosi verso di lui
- Smettila stupida! - Gracchiò infine quella col cappuccio e la tetra collana, schioccando un incantesimo con le dita che fece a pezzi la sorella rimasta - Adesso me lo pappo io questo elfo! - e scoppiò in una crudele risatina

- Ma staje for! E ‘ccis a soreta! - Kaf non sapeva più che pesci pigliare, si guardava intorno come un forsennato alla ricerca di una via d’uscita quando, con suo sommo stupore, la strega con il cappello rosso si ricompose dalle ceneri sotto il copricapo che la caratterizzava. Questa si voltò verso la sorella e presa dall’ira le vomitò addosso una melma verde che la sciolse, lasciando integra soltanto la collana.

- Amore, vieni con me prima che si rigenerino, presto! - La megera cominciò a saltellare verso la sua preda ma fu bloccata dal braccio mozzo di quella fatta a pezzi, sia per la stretta ed un po’ anche per il sangue, cadde a terra. L’altro grosso e grasso arto prensile si librò a mezz’aria partendo a razzo verso Kafraghas, questi riuscì a schivare con difficoltà dato che fu colto alla sprovvista, optando infine per una fuga disordinata in giro per la stanza con il braccio che gli stava alle calcagna. La megera caduta a terra decise di rialzarsi e correre anche lei dietro l’oggetto del desiderio, non ebbe bisogno di liberarsi, con un incanto non pronunciato prese a saltellare con la gamba libera dietro l’elfo, mentre l’altra intrappolata non faceva altro che allungarsi a dismisura rendendo la scena ancora più caotica.

Kafraghas seguiva a correre con le lacrime agli occhi mentre il “batacchio” artificiale celato nei pantaloni ondeggiava vistosamente, causandogli anche non poco dolore date le imprecazioni rivolte continuamente verso il povero Jeppson.

- Sant’Antonij, San Pascàle, San Giusèpp, San Gennàr, San Giuànn - Le invocazioni dell’elfo in quella situazione rimbombavano per tutta la sala, la megera con il cappuccio si fermò a vagliare una rassegna mentale per cercare di identificare quelle strane divinità anche se le altre due poco si curavano di loro, quella col cappello rosso insisteva nel voler afferrare Kafraghas ed intanto dietro entrambi si avvicinava l’imminenza della presa.

Ad un tratto, durante la corsa, l’elfo si slacciò le brache scoprendo un pezzo di legno con due patate poste alla base, il primo fu afferrato e lanciato verso la strega che lo inseguiva - ACCHIAPP TE’, STU TOZZABANCON E’ DEDICAT A TE! - E la megera letteralmente si tuffò a prenderlo per annusarlo, anche Kafraghas cadde inciampando sulla gamba allungata della strega. Durante la caduta, l’elfo approfittò della posizione frontale per lanciare le patate verso la strega fatta a pezzi, lasciando spazio al braccio mozzo che non ebbe più ostacoli finendo a schiantarsi proprio in faccia alla sua proprietaria. Il cesto di vimini colpito dalla manona andò in frantumi e la strega cadde all’indietro, lanciò un urlo disumano udibile da ogni parte della palude mentre le carni ribollivano e si scioglievano scomparendo, le sue sorelle si fermarono e puntarono l’elfo che ebbe davanti a sé lo scheletro carbonizzato di quel cesto che copriva il volto della megera.

- L’HAI UCCISA! -
Gridarono le due rimaste all’unisono.

Dapprima un grosso punto interrogativo si dipinse sul volto del prigioniero - L’aggiu accis? - si domandò perplesso, ma poi si ricordò di essere braccato e con decisione si tolse i pantaloni tenendo lo sguardo affilato sulle streghe che si avvicinavano mentre un’aura oscura, simile a del fumo, cominciava ad uscire dai pori della loro pelle. Kafraghas mosse qualche passo indietro e si accovacciò, ma quando la strega con l’occhio a bubbone gli corse incontro, l’elfo si alzò di scatto tirando a sé la gamba allungata e facendo in modo di far cadere la megera all’indietro, come con un contraccolpo. La manovra improvvisa fece volare il copricapo rosso che si ritrovò a mezz’aria davanti al prigioniero che fu colpito da un calcio in rovesciata dal collo del piede nudo elfico e spedì l’indumento dritto nel calderone che bolliva.

Kafraghas ci aveva visto giusto, i danni che il liquido bollente infieriva al copricapo si ripercuoterono sulla vecchia la cui pelle cominciò a diventare incandescente, questa lanciò un grido di dolore disperato e finì addirittura con il tuffarsi all’interno del calderone per cercare di recuperare il proprio oggetto totem. L’elfo vedendo il risultato fu attraversato da un moto di gioia - EVVAI! SO PROPRJ HAMSIKK! - ed approfittò della distrazione dell’ultima avversaria per fiondarsi nuovamente nello scantinato dov’era in gabbia.

- BASTARDO! MALEDETTO! – La strega inveiva avvelenata, la nube del suo potere si era talmente espansa che tutta la magione era immersa in una nebbia oscura. Ella ormai si muoveva senza nemmeno camminare, levitando a mezz’aria avendo la parte inferiore del corpo che era un tutt’uno con la manifestazione del suo potere oscuro. Davanti alla maga, una volta scesa nel seminterrato, apparve la figura dell’elfo con il perizoma di pelle in bella mostra che le faceva i gestacci con la lingua e tirandosi la natica con una mano, visione che fece ancora più infuriare la megera che scagliò un fulmine violaceo contro la sagoma mandandola in mille pezzi.

Una mano affusolata uscì dalle ombre andando a scippare la collana della strega che stava ancora sorpresa dal vedere centinaia di pezzi di vetro sparsi in giro, non ebbe modo di recuperare il proprio oggetto totem che Kafraghas cominciò a sbattere quella collana col braccino mozzato in giro, contro le travi di legno, ed insieme ad essa anche la strega prendeva colpi su colpi. L’elfo poi si precipitò verso la tenda che divideva il magazzino, scoprendola - Criaturi! Saglit n’gopp! -
I bambini non reagirono, stavano semplicemente imbambolati a guardare il loro salvatore senza capire.
- Mannacci a Jeppson, comm se dice in comune. Criaturi, guagliù, piccirilli, saglite n’gopp, fuitevenne, FUORA! - Indicando anche con la mano verso le scale. I giovani prigionieri si fiondarono prima verso la botola, poi restarono interdetti come se fosse la prima volta che vedevano la sala che conteneva il calderone da cui ancora uscivano urla di dolore ed anatema. L’elfo si mise a capo del gruppo guidando i ragazzini verso l’uscita mentre alle loro spalle l’intera casa cominciò ad assumere le sembianze di un mostro tentacolare. I piani superiori sembravano trasformarsi in una sorta di testa da mollusco con la bocca fatta di spire con ventose ed ai lati si aprirono, enormi, due ali di pipistrello. La nebbia dell’abitazione adesso copriva l’intera creatura ed al centro di essa capeggiava l’ultima megera, Kafraghas si girò un istante per vedere e se ne pentì, sia per la visione orribile, anche perché stava andando a sbattere contro un’altra creatura dall’aspetto simile e l’odore nauseabondo. Questa quando vide l’elfo schiuse le fauci come se volesse attaccarlo nonostante avesse ancora la palla chiodata piantata nel cranio, intanto il fuggitivo d’istinto lanciò la collana che teneva ancora chiusa in una mano contro la nuova creatura cavalcata da Artan che cercava di far rinvenire Jonas collassato per lo spavento e l’assurdità della situazione. Il grosso soldato, troppo esterefatto nel visionare quella tela composta da un mostro terribile, titanico e gigantesco sullo sfondo con in primo piano un elfo in perizoma circondato da dei ragazzini, non si accorse che la sua cavalcatura improvvisata cominciò a masticare ed ingurgitare l’oggetto totem della megera. Distrutto anche il braccino, la vecchia cominciò a dissolversi come se non le fosse più possibile tenere insieme la nebbia oscura, e con essa fece la medesima fine anche il mostro mentre la magione sotto di loro cominciava a crollare.
- WE, SCITET, AMMA FUI’ - Urlò Kafraghas ad Artan esortandolo ad aiutarlo a caricare i ragazzini sulla cavalcatura, il soldato si riprese accollandosi un paio di bimbi, spronando il mostro che aveva fortunosamente addomesticato a correre via.


sabato 12 gennaio 2019

CAPITOLO 2 - Parte 3: Le Paludi


Ancora buio, ma l’intorpidimento lasciò posto alla sensazione di giacere sul duro e scomodo, insieme a dei movimenti bruschi di trascinamento ovattati.
Poi nel buio sorsero i rumori, clangore, tosse, vociare con lo scoppiettìo di un fuoco che inizia la combustione, seguito da uno sfrigolìo che in altri.
Dopo venne l’olfatto, risvegliato insieme ai dolori che si facevano strada fra le fibre muscolari come per capillarità, poi si accentuarono la puzza di chiuso e putrido, l’odore della combustione del legname e della terra.
Infine il buio cominciò a diradarsi, il colore arancione dell’illuminazione notturna cominciò a spennellare la tela oscura della perdita dei sensi definendo tre figure davanti al naso di Kafraghas.
La prima figura era corta, magra ma con un addome pronunciato. Il volto era coperto da un tessuto rosso con trama quadrata che lasciava intravedere piccoli buchi da cui sembrava impossibile poter mettere a fuoco. Calato sul capo un cappuccio che si posava pesantemente sulle spalle, al collo penzolava una collana il cui ciondolo era un piccolo braccio umano mozzato, alla vita un grembiule bianco da macellaio sporco di sangue.
La seconda era invece molto più alta e possente, talmente grassa che varie pelli erano legate e strette contro il grasso a formare un abito scomposto. Il capo aveva un cappuccio legato con altre corde più sottili e troppo strette per una persona normale, mentre il viso era coperto dal fondo di un cesto di vimini che era messo a mò di maschera.
La terza figura invece aveva quantomeno metà del volto scoperto, un naso adunco e lungo incastrato fra le rughe sudicie di una vecchiaia antica, una benda sporca di sangue copriva l’occhio destro mentre il sinistro invece aveva la forma di una sorta di bubbone gonfio, largo oltre la cavità oculare, con all’interno incastonati tanti piccoli occhi piccoli quanto un polpastrello. Sul viso aveva un sorriso marcio fatto di denti da squalo, che a discapito del colore sembravano ben saldi e taglienti, il viso spiccava sotto un lungo cappello a punta rosso.
L’alito della vecchia svegliò Kafraghas come con una botta di adrenalina:

- All’anem e chitemmuort, marònn e cherè -

L’elfo si accorse di essere ancora legato, aveva stretti pure i sacchetti che lo costringevano a tenere i pugni chiusi. Le tre megere cominciarono a ridere guardandolo, tre voci diverse ma che comunicavano lo stesso senso di malessere.

- Ho ho ho! è sveglio!
- Ahh la lingua elfica! Erano secoli che non l’ascoltavo!
- Guardate che capelli, ci farò una treccia!
- Mangerò anche quelli
- Insomma ragazze! Non è carino fare a pezzi un ospite così presto!
- Hai ragione, scusaci tanto elfo
- Ma lo vedete quanto è carino?
- Ohhh si! Quanto è bello!
- Verissimo, mi piace molto, non ce lo mangiamo subito!

Kafraghas intanto stava lì con la bocca schiusa e lo sguardo vacuo, poi si destò cominciando ad agitarsi nella gabbia.

- Maronn e pumpej! Addò stann e guardie?! Ch’è succies? -

La più grossa cominciò a ridere - Calmati elfo, non ti è successo nulla di male. Era scritto che una creatura semidivina con il tuo sangue avesse incrociato nuovamente il nostro percorso dopo mille anni. Noi ci uniremo a te, e tu ti unirai a noi così da avere il potere di risvegliare Cthylla, la nostra sacerdotessa! -

L’elfo continuava ad agitarsi in stato confusionale, la strega con il cappello rosso allora allungò una mano per toccarlo, finendo prima con l’accarezzare una gamba e poi finì a palpargli il sedere - Su su stai buono elfo! Ti faremo divertire prima di unirci a te! -
L’altra con il braccio umano al collo annuì, cominciando a ridere - Sono sicura che hai un sapore divino -

Il prigioniero seguitava ad agitarsi, la voce gli tremava mentre le iridi saettavano in giro cambiando colore in base alla luce - Uagliù! Uagliù arò stat! Aiutatem! Ajiutaaateme! Marònna santa! - Il tocco di quelle mani incrostate con spesse e lunghe unghie nere non faceva altro che agitarlo di più, fino a quando la strega scuotendo il capo propose - Non aver paura splendore, ci prenderemo cura di te, ti faremo stare bene

La più grossa si piegò andando a premere con il cesto di vimini che gli faceva da faccia contro le sbarre della gabbia in cui era - Ci vuoi? Ci desideri? - il tono cercava di assumere una connotazione maliziosa ma aveva l’effetto di una secchiata d’acqua gelida.
Quella con il braccio richiamò le sorelle scrollando le spalle - Deve essere ancora agitato, in fondo ha avuto un incidente. Lasciamolo riposare, dopo aver mangiato starà sicuramente meglio - Dopo aver pronunciato quelle parole, si avviò verso alcune scale che portavano ad una botola in superficie seguita dalle altre due.

Kafraghas riprese fiato guadagnando nuovamente una certa stabilità razionale ed emotiva, dopodiché cominciò a guardarsi intorno. Spinse con le spalle facendo perno usando la punta del piede, dannazione, la porta della gabbia era troppo resistente, provò ad agitarsi ma era come inchiodata al pavimento. Presa una pausa dai tentativi, più per riprendersi dallo sconforto che dalla stanchezza, diede una seconda occhiata più profonda al luogo in cui si trovava: Il rettangolo che componeva il magazzino in cui l’avevano stipato era colmo di casse con non ben definiti materiali organici all’interno, alzavano un odore misto di frutta sfatta e marcio di carne. Alle pareti fra mensole colme di tomi, spuntavano come corna delle lampade ad olio il cui sporco rendeva la luce opaca. Una pesante tenda di juta copriva l’ala finale della stanza, l’elfo si concentrò un attimo e con l’aiuto della sensibilità uditiva di cui disponeva riuscì ad intuire che oltre quella copertura c’era qualcosa che dormiva. Non capiva bene se fossero persone o animali, di certo ve n’erano quasi una decina di respiri flebili e costanti.

La botola si riaprì prima ancora che potesse fare ulteriori considerazioni, dal piano superiore sbucò la strega col cappello rosso, fra le mani aveva un pentolone con un mestolo che affogato in una melmosa brodaglia che oscillava fra il beige ed il verde.
- Amore, ti ho preparato la cena - Canzonò la megera all’indirizzo del prigioniero dopo aver posato pesantemente il contenitore. La vecchia si sedette davanti alla gabbia e sfilò un cucchiaio di legno da sotto il tessuto della manica unto ed annerito, andando a raccogliere una cucchiaiata di “minestra” con un pezzo di quello che sembrava un piccolo bulbo oculare semi disciolto.

- Grazij assaje signò, ma nun teng assaje famm - Cercò di giustificarsi Kafraghas sostenendo inappetenza, la megera non disse nulla all’inizio ma l’elfo notò l’eccessivo contrarsi dei muscoli della mano intorno al cucchiaio di legno, e corse ai ripari - Vabbuò ja, comme se fa a dicere che nò aropp tutt stu bell ‘e dio, e po’ si nun magn faccij panz ‘e rin una cos - Eh, non poteva di certo rifiutare quel ben di Dio, rischiando poi di dimagrire eccessivamente senza mangiare. La megera sembrò compiacersi ed inarcò un sorriso animalesco mostrando i denti aguzzi, infine allungò il cucchiaio, forzando l’elfo a mandare giù.

- Marònn e comm’è bbuono! - Esclamò Kafraghas mentre le lacrime cominciarono a scorrergli sulle gote
- Piangi? - La strega aggrottò un sopracciglio
- Ehh, nisciuno cucina pemmè a na vita - Continuò a singhiozzare l’elfo trattenendo il vomito
- Oooohhh tesoro! Com’è dolce il tuo dolore, vieni qua! - La strega allungò la manaccia per tirare Kafraghas dal colletto ed avvicinare il volto alle sbarre, una volta che il prigioniero era a portata di mano tirò fuori una lingua lunga e scura da rettile dando una lenta leccata alla lacrima. L’elfo socchiuse gli occhi sprofondando in una intensa concentrazione, il contatto era umido, limaccioso e ruvido insieme, l’odore che usciva dalla bocca somigliava alla fossa dei rifiuti di un mattatoio, lungo la colonna vertebrale gli sembrava percorsa da svariati aghi di ghiaccio.

- Ma.. Pecché nun te pozz accarezzà? - Osò domandare l’elfo, la strega lo guardò con sguardo accigliato e l’espressione di chi soppesa
- Ti piaccio? - Chiese poi la vecchia, curiosa, il prigioniero annuì
- Allora se ti piaccio baciami! - Gracchiò la strega riaprendo le fauci
Kafraghas si fece forza e si abbandonò ad un lungo bacio appassionato, nel mentre notò che le catene ai polsi sparirono, così come i sacchetti che gli costringevano le mani chiuse, ne approfittò per portare le mani al volto della donna e farle una carezza. La strega si allontanò soddisfatta - Mangia tutto mi raccomando - Squittì per poi tornarsene di sopra.

L’elfo poggiò le spalle alle sbarre della gabbia, dal suo naturale colorito pallido passò prima al viola, poi al verde. Sollevò lo sguardo che da ambrato era diventato nero cominciando a mormorare - Gesù, Giusepp’, Marja, San Juann, Sant’Antonj, San Gennàr, San Pascàl, Padre Ppij, o’ bue, l’asinell’, Gaspare, Zuzzurr e Baldassàrr - Soffiò quell’antica invocazione come una preghiera, una richiesta di soccorso dall’alto che però non arrivò. Si distese su di un fianco, piegò le gambe a rannicchiarsi in posizione fetale e pianse, pianse tanto.

Il risveglio fu brusco, da un dormiveglia quasi piacevole l’elfo fu trascinato dai propri sensi in quel mondo fatto di odore malsano, rumori di respiro ignoti, appiccicaticcio del pavimento sudicio. Aprì gli occhi e si mise seduto lasciando cadere lo sguardo sulla pentola ancora lì, ormai fredda. Voltò il capo e puntò con improvviso timore la botola che però non si aprì, ripensò al bacio e gli venne quasi da vomitare, poi calò lo sguardo su quello schifo portatogli per pasto e si sentì anche peggio, era la parte di un occhio piccolo quella che galleggiava nella brodaglia, forse di un cane o qualche altro animale e quel pensiero lo fece sussultare. Tirò a sé il pentolone e cominciò a rovistare dentro come in preda ad una frenesia fino a trovare i resti di quella che sembrava una piccola spalla, da quel pezzo isolò la cartilagine che, ancora abbastanza tenera, cominciò a spezzare in varie asticelle ricurve, recuperando un’altra più solida dal pezzo di osso che pendeva. Kafraghas dispose quei frammenti così ricavati con cura davanti a sé, come a volerli istintivamente asciugare, poi poggiò l’orecchio a punta sulla cassa della serratura e cominciò a picchiettare con un indice.

- Uhmm - Tac. Tac. Tac. - Uno e doje - Tac. Tac. Tac. Annuì - E, so doje rient -

Usando la sensibilità del proprio udito riuscì a carpire il numero e la posizione dei dentini che fermavano la serratura, prese la prima cartilagine ricurva, la infilò all’interno della cavità premendo il primo pistoncino, infine con un agile movimento del polso riuscì a spezzarvi un pezzo di ossicino all’interno per bloccare il perno. Stessa cosa si mise a fare con il secondo, stavolta doveva scendere più in profondità ed era difficile mantenere la concentrazione. La sostanza melmosa che componeva quel “cibo” però, gli fece perdere la presa, facendo scivolare quel grimaldello improvvisato, spingendo l’elfo ad uno sfogo frustrato: - Mannaggi Jeppson!!! -
A quel vociare la botola si aprì e la strega più grossa si avvicinò a controllare. I passi rumorosi e claudicanti si avvicinarono al prigioniero che però sembrava dormire e mormorare durante il sonno. La strega si guardò intorno e, vedendosi sola, rubò un po’ del cibo destinato al detenuto divorandolo voracemente dopo aver immerso quella strana maschera di vimini all’interno del pentolone, infine, dopo un sonoro *burp* si avviò nuovamente al di sopra, rassicurando le due sorelle.

- Mamm ro’ carmine - Sospirò Kafraghas con un filo di voce rilassando le membra, tornò seduto e recuperò il pezzetto di cartilagine che riuscì a spezzare bloccando il secondo pistoncino, fu facile così utilizzare il pezzo di osso rigido per ruotare la serratura ed aprire la porta della gabbia.

Rimessosi in piedi ebbe un po’ ad abituarsi, l’elfo non riusciva a quantificare il tempo privo di conoscenza e forzato a stare seduto in quella gabbia. Fece qualche passo muovendosi silenziosamente verso la botola e riuscì ad udire le tre megere litigare senza difficoltà: Si stavano contendendo i suoi glutei arrostiti. Kafraghas deglutì e decise di tornare sui suoi passi, notò che accanto al tendone visto in precedenza, sotto al soffitto, vi era una finestra rettangolare chiusa. Salendo su di una credenza, tastò la resa di una mensola che usò come piattaforma per aprirsi la via d’uscita senza troppe difficoltà. Sbucò con il capo all’esterno e persino l’aria malsana della palude gli sembrava fresca e nuova rispetto all’olezzo che appestava quella casa, aguzzò la vista per scrutare fra i rovi con la scurovisione, le orecchie ritte sul capo intanto sondavano l’ambiente circostante per anticipare eventuali pericoli. Nulla, prima di compiere il balzo che l’avrebbe portato verso la libertà si fece due conti da ladro in testa: Il seminterrato era un rettangolo, ad un’estremità vi erano le megere mentre al lato adiacente, oltre la metà, la finestra. Sollevò un attimo lo sguardo reputando le architravi in legno sotto al soffitto come una struttura atta a reggere un pavimento sovrastante, niente, c’era una buona probabilità di non essere visto nemmeno dalle megere e calcolò che nell’arco di una trentina di secondi si sarebbe potuto dileguare in tutta sicurezza a patto di non trovare pericoli invisibili o magici, il suo sesto senso però non gli comunicò nulla del genere. A fermare il fuggitivo dal lanciarsi verso la libertà fu uno strano mormorio molto flebile, distinto fra quei respiri sommessi che venivano da oltre il tendone. Per ulteriore scrupolo Kafraghas scese nuovamente nel seminterrato e si infilò oltre la tenda, sembrava che vi fossero svariate casse coperte da altrettanti teloni di juta, sudici e pesanti, che in più punti parevano gocciolare del liquido scuro indefinibile. L’elfo si avvicinò ad una di queste casse e la scoprì, rivelando una gabbia simile a quella in cui era stato rinchiuso, sebbene più piccola. Genuflettendosi riuscì a distinguere una piccola figura legata ai polsi e seduta a terra, immobile, con un cappuccio senza fori sul capo. La mano del ladro andò a sollevare quel copricapo asfissiante lasciando che un paio di occhioni catatonici incontrassero la sua figura, incastonati nel volto sporco e smagrito di un bambino. L’elfo schiuse la bocca per la sorpresa e si alzò in piedi cominciando a scoprire le gabbie in maniera isterica, rilevando in tutte lo stesso contenuto. Ad un tratto il respiro di Kafraghas si fece sempre più intenso, quasi da iperventilazione, ebbe un flashback della collana di una delle megere, la cavità oculare che aveva mangiato e le ossa di una piccola spalla che ricordavano quelle di un cane, i gusti alimentari che parevano millantare le streghe e quei bambini lì stipati come una merce. Le pupille dell’elfo si strinsero fino a lasciare quasi solo il bianco dell’occhio mentre il respiro non accennava a rallentare. Sollevò lo sguardo, fissò per un attimo la finestra che lo separava dalla libertà di lasciarsi quell’orrore alle spalle ed infine si voltò verso la botola tenendo i pugni chiusi fino a sbiancare le nocche, ringhiando fra i denti: - ‘Sti lote, munnezz, chiaviche, quand’è ver à marònn l’aggia schiattà a cap -


sabato 5 gennaio 2019

INDICE DI LETTURA E RIFERIMENTI UTILI

Ciao a tutti!

Questo sarà un post in evidenza che aggiornerò man mano che il Romanzo FantaSì verrà composto.

Prima di iniziare volevo invitarvi a mettere "mi piace" e condividere la mia pagina: Romanzo FantaSì Official Page

PROLOGO: La Cella
CAPITOLO 1: Il Viaggio
CAPITOLO 2 - Parte 1: Le Paludi
CAPITOLO 2 - Parte 2: Le Paludi
CAPITOLO 2 - Parte 3: Le Paludi
CAPITOLO 2 - Parte 4: Le Paludi
CAPITOLO 3 - Parte 1: Il Villaggio Di Khaywan
CAPITOLO 3 - Parte 2: Il Villaggio Di Khaywan
CAPITOLO 3 - Parte 3: Il Villaggio Di Khaywan
CAPITOLO 3 - Parte 3: Il Villaggio Di Khaywan
CAPITOLO 3 - Parte 4: Il Villaggio Di Khaywan

Capitolo 2: Le Paludi - PARTE 2


Il tenente in coda al gruppo incalzava gli uomini nel proseguire lungo il sentiero montuoso, urlava ordini a destra ed a manca mentre cercava di recuperare un soldato che faticava a rialzarsi
- Lasciate le carrozze! Proseguite a piedi! - Urlò in direzione degli apripista quando fu interrotto da un rumore liquido di carne strappata e sangue schizzato in giro.

La nuvola di fumo e detriti che si era sollevata inizialmente cominciò a calare come un tetro sipario, scoprendo l’imponente figura di un troll di montagna che teneva ancora fra le mani dei brandelli di carne appartenenti a due soldati. Sporco di sangue e detriti, la creatura fissò gli occhi porcini sul militare che aveva di fronte cominciando a muoversi e mentre la grossa figura ondeggiava bramando ulteriore carne umana, lasciò scoperta alle spalle una enorme voragine con la quale aveva causato la caduta della carrozza e parte della scorta.

Eseguendo i movimenti con un automatismo che non lasciava spazio ad interpretazione, quattro soldati crearono un muro di sbarramento cominciando a scoccare dardi in direzione del mostro. Il troll dapprima urlò rabbioso, poi cominciò a strapparsi via i dardi dal corpo come se fosse più tediato che altro pronunciando alcune parole in un linguaggio primitivo ed incomprensibile. Ad un cenno del tenente i soldati riposero le balestre e raggiunsero il resto della compagnia in fuga, poi il militare estraè la spada e si pose in posizione di lancio, come un giavellotto. Quando il troll fu finalmente a portata, Felix spinse in avanti la spalla lanciando l’arma di punta proprio in mezzo alla fronte del mostro. La lama impattò contro la pelle spessa e grigiastra, aprendo il varco ad una fontana di sangue denso e scuro, arrivando a trovare l’uscita dall’altra parte del cranio. La creatura restò un attimo ferma prima di cadere di spalle e l’impatto fu talmente violento che la terra tremò di nuovo e la lama schizzò via spaccata in due parti.

La compagnia restò per qualche lungo secondo in silenzio ed immobile, come se fosse sospesa, poi ad un tratto ruppe la stasi acclamando il militare con un applauso. Gerard accorse seguito da un paio di soldati, il volto teso - Non c’è nulla da festeggiare, alcuni dei vostri commilitoni sono morti mentre altri dispersi chissà dove -
Gli uomini ammutolirono ed il tenente che intanto recuperava un’altra arma, sembrava essere piuttosto atarassico - Sono soldati - sentenziò come se non vi fosse altro da aggiungere, e di nuovo la voce dei soldati si alzò ma stavolta non per festeggiare, era allarme, il troll era di nuovo in piedi.

- Presto! Dobbiamo toglierci da questo sentiero! - Urlò Felix digrignando i denti quando padre George gli si aggrappò al braccio per tirarlo via
- Lo so che vuoi fare, pazzo d’un soldato, ma questa creatura è in grado di smembrarti in pochi secondi e non otterresti nulla -
Il militare, arma in pugno, grugnì rabbioso e poi annuì cominciando ad arretrare indietro insieme al chierico, intanto i soldati perseguivano nel bersagliarlo con le balestre, guadagnando giusto qualche istante quando il dardo incontrava il volto del troll.

Con il proseguire della ritirata, George si trovò affiancato da una figura più bassa e tozza che, in controtendenza con gli altri, restava ferma facendo avvicinare il mostro, era Ugard.

- Maestro! Ti sei forse bevuto il cervello? E dove sta la tua scorta? - Gerard mentre inveiva provò a tirarlo con sé inutilmente. L’ometto appariva piuttosto tranquillo mentre rovistava nel suo borsone a tracolla, si sistemò gli occhialini e posò le iridi curiose sul troll.

- Non credevo di poter vedere un troll montano vivo e così da vicino - Mormorò quasi affascinato mentre versava il contenuto di una fiala in un’ampolla vuota, simile ad acqua - L’ultima volta fu anni or sono, ero studente all’accademia, vidi lo scheletro e le rappresentazioni sui manuali di questi esseri. Sono creature antichissime che ignorano danni e malattie - Detto ciò, versò nell’ampolla un liquido nero e denso, accompagnato con della polvere grigia - Bizzarro il fatto che fossero date per estinte nei nostri territori e ce lo ritroviamo qui, forse è vero che quell’elfo porta sfortuna - Alla fine della frase Ugard era completamente immobile, trattava il contenuto di quell’ampolla che si mescolava quasi da solo, come fosse una reliquia - Vediamo, dovrebbe andare così - Dopo una rapida considerazione lanciò il composto che andò ad impattare verso il mostro, ne susseguì un’esplosione contenuta ed il troll prese fuoco. L’attacco causò ulteriori vibrazioni ed il sentiero di montagna sembrò quasi cedere, costringendo il gruppo ad una fuga rocambolesca, consci del fatto che il troll sebbene gravemente ferito si sarebbe comunque ripreso.

Il tenente insieme al suo pugno di uomini con il chierico e lo studioso, si fiondarono ormai senza più carri né cavalli su di una discesa sdrucciolevole che andava verso la valle, alle loro spalle una piccola frana cancellò quel che restava del sentiero dove erano poc’anzi con il troll, bloccando definitivamente la strada. Gli uomini si fermarono ancora una volta, sfiniti ma con la dolce promessa della valle che li avrebbe portati in qualche sosta sulla carovaniera che collegava i centri abitati del regno.

Nemmeno il tempo di riprendere fiato, il tenente sollevò lo sguardo e vide Pax ed Anton affrettarsi davanti a lui sputando persino i polmoni

- Signore! - esclamarono con disperazione - Finalmente vi abbiamo trovati! Artan e Jonas sono in palude a cercare l’elfo, dobbiamo scappare subito là prima che cali la notte!  

Felix e gli altri si guardarono in faccia perplessi - Scappare? - si chiesero quasi all’unisono cercando di collegare l’azione con la ricerca degli altri due commilitoni ed il prigioniero. I due soldati sopraggiunti non riuscivano più a parlare, annuivano indicando con forza la via verso la palude e spostandosi lasciarono campo visivo a ciò che stava accadendo: Le spalle dei due soldati furono come una sorta di sipario che si aprì nel mezzo ad una carica, svariati trolls si stavano scagliando contro di loro.