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Ciao a tutti! Questo sarà un post in evidenza che aggiornerò man mano che il Romanzo FantaSì verrà composto. Prima di iniziare volevo in...

venerdì 14 giugno 2019

Capitolo 3: Il Villaggio di Khaywan - PARTE 5

Kafraghas richiuse seccato l’ennesimo passaggio sotterraneo che avrebbe dovuto portarlo al secondo livello delle fogne. Stava girando da ore, dopo la fuga, alla ricerca di un modo per lasciare quella cittadina che sembrava in perenne stato d’assedio, ma niente.
Stu baliv nun serv a manc o’ cazz
Non funzionava nulla lì sotto, anni di incuria avevano lasciato che il secondo livello si allagasse, l’aveva intuito dallo spesso strato di ruggine ed il continuo rumore di tubi interrotti a cui erano sensibili le sue orecchie elfiche.
Nonostante la leggerezza della sua struttura, l’umidità dell’aria lo portava spesso ad ansimare, camminare diventava una sorta di trascinarsi avanti con qualcuno sulle spalle. Se non altro aveva recuperato un arco, la relativa faretra ed un paio di daghe che lo facevano sentire al sicuro, per questo prese la decisione di indagare su degli strani rumori provenienti al di là di una parete, diversi dal solito.

Posò i polpastrelli sul mattone limaccioso del muro cominciando a proseguire per il corridoio illuminato solo dalle sue iridi ed una piccola fiammella, giunse ad un’intersezione che l’obbligava necessariamente a girare verso il lato opposto alla sua destinazione. Sbuffò, poi calò lo sguardo e vide l’ennesimo di quei passaggi allagati. L’elfo sospirò e poi scrollò le spalle, posò la candela e con non poco sforzo aprì la botola - con un’imprecazione, come ogni dannata botola come quella - Recuperò la sua fonte di luce che portò davanti al naso, cominciando a fissarla intensamente per alcuni minuti prima di spegnerla. Stavolta però non fu inglobato dal buio, l’infravisione persisteva ma l’elfo sapeva che non sarebbe durata in eterno, quindi si assicurò giubba, scarsella ed arco e si tuffò in quell’acqua verdognola.

Il secondo livello scorreva sotto di lui come se stesse volando, doveva essere alto almeno una decina di metri con l’acqua che lo riempiva per intero, arrivato però alla fine dell’angusto corridoio in cui si era immerso, l’elfo si ritrovò in una sorta di ampio pozzo che in passato, probabilmente, fungeva da magazzino. Il verde che permeava tutto amalgamava le forme, confondendo la percezione della profondità. Kafraghas si diede una mossa dato che da un lato il contorno della visuale cominciava a diventare più scuro, dall’altro l’aria nei polmoni non era eterna.

Scandagliando per poco il soffitto sotto il quale galleggiava, riuscì a distinguere un’altra di quelle botole. Si avvicinò aggrappandosi al cornicione e cominciando a spingere con le spalle, ma ad ogni colpo tendeva a scivolare verso il basso.
Mannagg a Jeppson
Prima che  lo sconforto potesse assalirlo, calò lo sguardo su alcuni rottami nei pressi del pozzo, distinguendone delle assi di ferro. L’elfo si immerse come un’anguilla, andando ad afferrare con ambo le mani una di quelle spranghe, puntò i piedi sul bordo di quel pozzo apparentemente senza fondo e ne sfilò una. Ne seguì un lungo rombo e tutta una pila di spazzatura che placidamente crollò nel pozzo, dando il tempo a Kafraghas di scansarsi risalendo.

Piantò l’asta incastrandola in una piccola frattura del bordo cominciando a fare leva, man mano ne spingeva sempre un po’ dentro. Doveva tentare e ritentare ma fortunatamente di aria ne aveva ancora, il problema era la visuale il cui bordo diventava sempre più spesso e nero, come se vedesse attraverso una feritoia. La botola faceva rumore, sebbene sott’acqua, ma dopo il decimo, dodicesimo clangore, ne seguì un ulteriore rumore metallico ed infine un rombo che diventava sempre più assordante. Il cuore dell’elfo cominciò a battere all’impazzata, spingendolo ad affrettarsi per aprire quella dannata botola, ma la fretta non fece altro che fargli scivolare la spranga dalle mani. Preso dalla stizza, diede un pugno alla botola di ferro e si spinse giù per recuperare la spranga, quando si voltò verso il pozzo vide due occhi rossi e luminescenti che si avvicinavano come inseguiti da quel rombo. Pochi secondi ed un’essere subacqueo enorme gli si parò davanti: File di denti aguzzi, muso appuntito, una pinna sul dorso simile ad una bardica. Aveva legate alle pinne laterali delle corde che gli stringevano tutto il corpo su cui era assicurata una grossa striscia di tessuto. Quei materiali che lo avvolgevano erano logori, ed in parte tenevano sempre aperte alcune ferite della creatura, come se questa avesse invano tentato di liberarsi.
Kafraghas con un colpo di gambe si fece indietro trovandosi il ventre del morso che gli scorreva davanti: Aveva degli strani segni sul muso, fatti come di una vernice
Ma è nu pizzett a finanziere?
Dopodiché si rivelò la scritta su quello striscione “ah ah ah Pasqualo ah ah ah
Pashqualo?
L’enorme pesce ruotò prima del soffitto e tornò a puntare Kafraghas colmo di un’ira antica, riprendendo a caricarlo a fauci spalancate. L’elfo vide arrivare davanti a quel po’ di vista che gli era rimasta un gigantesco pozzo di denti che gli occupava tutto il cono visivo, con un colpo di gambe riuscì a scansarlo, sebbene lo sforzo gli costò parecchia aria e fatica. Pasqualo dal canto suo era perfettamente a suo agio in quell’acqua, con un rapido colpo di coda tornò a posare i suoi occhi mostruosi sull’elfo che provava a raggiungere disperatamente la botola ma aveva calcolato male i tempi: Prima ancora che fosse nemmeno a tre metri dal portoncino di ferro, Pasqualo aveva già macinato acqua e distanza, roteando su di un lato per poterlo afferrare meglio. D’istinto, Kafraghas inclinò orizzontalmente la sbarra di ferro incastrandola fra le fauci del mostro.
Aeeeeeh o’ cazz mo’
Pasqualo cominciò ad agitarsi in maniera forsennata poi riprese a correre, l’elfo stringeva i denti sbirciando da quella finestrella che era rimasta di cono visivo mentre il corpo dava segni di cedimento per via della mancanza di ossigeno. Kafraghas raccolse le ultime forze e dalla posizione dov’era - Coi piedi puntati sull’angolo destro della bocca - Passò al lato opposto, il pesce diede uno strattone e poi riprese a girare in tondo verso quel lato dove sentiva i piedi dell’elfo.
Accussì eh?, Sant’Antonj, San Pascal, San Giuann, San Ciccij, Maronn e Marunnell, mannatamell bbon.

La povera esca elfica svuotò i polmoni per puntare il naso dello squalo, questi virò nuovamente e prese a nuotare più forte verso l’alto, Kafraghas riuscì per poco a sbirciare la botola prima del buio totale, arrivando a scansarsi di lato facendo infrangere il pesce contro il soffitto, sfondandolo. Al buio seguì il rumore del crollo, sentì le dita che uscirono dal pelo dell’acqua ed il corpo lo spinse ad inspirare per recuperare ossigeno, facendogli perdere i sensi.

sabato 16 marzo 2019

Capitolo 3: Il Villaggio di Khaywan - PARTE 4



Palindor si passò una mano sul volto, aveva occhiaie livide come sacche di sangue. Posò nuovamente lo sguardo sui due soldati espirando di getto come a sgonfiarsi.

- Nessuno vi crede che l’elfo sia scappato da solo

Jonas si sporse in avanti, le catene ai polsi tenuti dietro ai reni gli impedivano di poggiarsi al tavolo.

- Nessuno ha idea di cosa sia capace un elfo!

Artan era nella stessa situazione dell’amico, invece dei polsi, però, aveva gli avambracci legati con più cinghie. Evitava di guardare i due, volgendo lo sguardo di lato e borbottando a mezzabocca, poco udibile.

- Mortacci sua st’erfo demmerda ma n’do cazz s’è ficcato, li mortacci de li mortacci

Il boia fece il suo ingresso. Un uomo alto, atletico con dei lineamenti poco marcati e regolari, seguito da due servi che trasportavano un baule cigolante.

- Bentrovati signori - Il nuovo giunto allargò un sorriso che voleva essere rassicurante

- Di già? - Palindor si alzò di scatto puntando lo sguardo verso il boia
- Di già - L’uomo rispose al capitano annuendo leggermente, con tono pacato

Artan e Jonas incrociarono gli sguardi, poi risuonò la voce della guardia - Non è stata ancora inferta nessuna condanna dal tribunale, non c’è motivo per cui voi interveniate

Il boia scrollò le spalle - Non c’è bisogno del tribunale, è un’ordinanza diretta del balivo

Palindor restò un attimo sospeso, fu scosso solo dal rumore metallico causato dai servi che lasciarono quasi cadere il baule sul pavimento - C.. Capisco - Con le lettere strozzate in gola, filò spedito oltre l’uscita.

Il cassone si schiuse come un’ostrica rivelando una struttura che andava sollevandosi verso l’alto. La luce illuminò del metallo scintillante che prese forma nelle pupille dei prigionieri come ganci e lame, il boia osservava il tutto con un sorrisetto a labbra serrate e l’espressione soddisfatta.
Si avvicinò per primo ad Artan e gli scoprì il torace per osservarlo, studiò a lungo il petto possente e le cicatrici che lo adornavano soffermandosi assorto sul moncherino. Prese un coltello seghettato ed arrugginito che cozzava in aspetto con quello stile forzosamente pulito che tentava di mantenere come una maschera, Jonas cominciò ad agitarsi e si vide il coltello puntato di scatto davanti al naso. Il boia era estremamente veloce e per la prima volta appariva realmente pericoloso, il barbaro dal canto suo lanciò uno sguardo d’intesa al compagno che ricambiò, la cosa non sfuggì al carceriere che diresse nuovamente l’attenzione al primo, incontrando uno sguardo di sufficienza.

- Figlio di p…! - Jonas provò nuovamente a reagire ma un servo lo zittì con un pugno nell’addome, all’altezza del fegato.

- Ma statte zitto a Jò! - Sbottò Artan - Tanto ‘sto cojone manco er formaggio ce taglia -

Il boia ascoltò l’uomo legato che aveva davanti con l’espressione assorta di chi sta soppesando qualche pensiero, o al contrario sta vuotando la mente. Jonas strattonò con la spalla ma fu raggelato dallo sguardo severo del superiore che pareva temere più dei loro carcerieri.

- Il tuo uomo non è capace di tenersi a freno. Che gli tolgo prima? I tendini o la lingua?

Il barbaro sbuffò dalle narici come un toro - Jonas ‘un serve a gniente, se voi l’erfo t’o’ do io, te basto io - Il boia ascoltò puntellandosi un polpastrello con la punta del pugnale, sollevò le sopracciglia e soffiò le parole:
- Ti credo e non ti credo
Uno dei servi afferrò Artan per il collo in modo da bloccarlo, il torturatore si mosse di qualche passo e puntò l’arma sulla pelle del pettorale, sotto la clavicola.

- Voi mi direte dov’è l’elfo, questo è poco ma sicuro, però… - Il boia allargò un mezzo sorriso, scoprendo un canino con aria ferina - Non subito, non c’è fretta

La lama penetrò con estrema fatica nella carne del barbaro, non aveva quasi filo e tendeva più a lacerare che a tagliare propriamente, una volta dentro, il boia rigirò la punta verso il basso cominciando a segare con dei movimenti calmi e regolari mentre man mano che procedeva, un servo giusto di fianco a loro, provvedeva a pulire il sangue con uno straccio per evitare di far perdere la presa dell’elsa al proprio padrone.

Davanti agli occhi di Jonas la pelle dell’amico si lacerava lentamente intorno al capezzolo fino a quando il macellaio non cominciò a strapparlo via con un gancio. Gli occhi azzurri del soldato cominciarono a bagnarsi di lacrime di paura e rabbia. L’espressione del boia durante l’operazione era goduriosa ma sfumò nella sorpresa a vedere il volto del barbaro: Era immobile, freddo, con un sorriso di sfida, il dolore era tradito soltanto dalle gote arrossate ed una vena pulsante alla tempia, poi le parole: - So’ stato co’ na mignotta che m’ha fatto de peggio.

Il boia inspirò profondamente senza dir nulla, poi annuì un paio di volte, scrollò le spalle con noncuranza e si fece porgere una sorta di asticella metallica che Jonas associò mentalmente ad un grimaldello.

- La musica - Mormorò soltanto il carceriere avvicinandosi nuovamente al ferito.

Il servo che prima teneva Artan per il collo mollò la presa, al boia uscì una risatina - Se ti muovi puoi morirci, quindi se proprio vuoi evitare problemi puoi parlare, oppure mettere fine a tutto assecondandomi e morendo, tanto c’è ancora il tuo amico - Ma entrambe le espressioni dei prigionieri erano perplesse, non erano avvezzi a quel genere di trattamento in nessuno dei ruoli e quel ferretto con le punte seghettate gli causava più curiosità che timore vero e proprio.

- Noi non sappiamo dov’è l’elfo, e seppure lo sapessimo non ci lascereste in vita, non dopo questo! -

Il boia si fermò e si volse a Jonas con espressione candida - Non c’è niente di illegale, la nostra cittadina è in stato d’assedio dichiarato ed il balivo ha istituito la legge marziale, se voi muoveste qualche accusa nei nostri riguardi sappiate che vi abbiamo trattati come collaborazionisti umani dei goblin, non sareste i primi, e finireste anche davanti al tribunale capitale. Quindi vi conviene sorridere, annuire e baciarmi il culo finché mi gira, voi mi direte dov’è quell’elfo, io mi divertirò un po’ con voi senza calcare troppo la mano ed alla fine ve ne tornerete a casa con qualche cicatrice su cui inventare una storia eroica.

Jonas si fece paonazzo, ma prima di sbottare qualcosa fu il vocione di Artan a prendere il boia in contropiede - Ma come te credi forte a zì, damme er tempo che er culo to’ metto n’faccia.

Il boia sobbalzò tenendo sempre l’attenzione centrata sul barbaro, si avvicinò di scatto e gli diede un pugno per poi maledire la propria impulsività agitando la mano indolenzita ed infilandosi un guanto di ferro borbottando - Questo dovevo indossarlo prima!

Annuì ad un servo che tappò il naso del prigioniero fino a costringerlo ad aprire la bocca per respirare, a quel punto il boia afferrò la mandibola dell’uomo con la mano ferrata, rendendo inutile il morso. Come una piuma fece volteggiare la punta dell’attrezzo davanti agli occhi del malcapitato facendogli notare altri dettagli: Era circondato da minuscole molle estremamente sottili che erano intervallate da giunture, sul manico era possibile intravedere svariate levette. Il boia infilò lo strumento in una narice dell’uomo e con la pressione di una levetta causò l’uscita di un ago che gli trapassò la cartilagine, rilasciò il dito e l’ago tornò nuovamente al proprio posto, cominciando ad insinuarsi nella cavità all’interno del setto nasale.

- Mi raccomando, non muoverti, ed occhio a non soffocare con il tuo sangue

Una nuova uscì dalle fauci del boia che prese a girare e rigirare il ferretto, tirare e rilasciare leve con dei suoni di molle ovattati dalla carne. Artan non emise un suono ma le sue spalle avevano scatti simili alle convulsioni, il sangue scorreva copioso dalle narici e faticava palesemente anche a respirare, intervallando una tosse insistente che cercava inutilmente di domare. Jonas era davanti all’amico pietrificato, entrambi incrociarono lo sguardo e vide gli occhi del barbaro con le pupille strettissime che cominciavano a lacrimare sangue e scoppiò di riflesso in un pianto disperato.

- Artan basta! Falla finita! Per forza il gradasso devi fare! Siamo soldati e siamo pronti a morire, ma non questo! È finita amico mio, ti prego… -

Un corno diede l’allarme generale, pochi secondi dopo un soldato di Khaywan fece irruzione nella cella sbraitando contro il boia - Signore! Presto deve correre dal balivo, è urgente!

Il macellaio si bloccò innervosito voltando il capo, estraendo l’attrezzo di tortura in malo modo - Che succede ora!

- Ci attaccano, e non ne sono mai stati così tanti!

sabato 9 febbraio 2019

Capitolo 3: Il Villaggio di Khaywan - PARTE 3



Il Balivo era un uomo molto alto e di mezza età ma ancora piacente, gli ospiti avevano atteso almeno un paio d’ore perché era ad un impegno importante, salvo vederlo arrivare poi mentre ancora stava mangiando un pasticcino.

Lewis Deman Rigastro - Venne annunciato dal paggio. Il primo cittadino bloccò l’assistente sbarrandogli la strada con un braccio in modo da sorpassarlo ed andare a salutare di persona gli ospiti. Strinse la mano a Jonas fissandolo negli occhi con un sorriso stretto ed affabile, stessa cosa fece con Kafraghas. Arrivato ad Artan, notando il moncherino, si limitò soltanto a dargli un paio di pacche sulle spalle.

Benvenuti nella ridente Khaywan! - Deman allargò le braccia così come il sorriso
Oh Beh, uhm, grazie - Rispose Artan arricciando il labbro inferiore meditabondo, buttando di tanto in tanto l’occhio al quartiere mercantile ed alle canne fumarie in lontananza

Dopo aver attraversato una schiera di uffici pieni di registri e pergamene spesso troppo impolverate, gli ospiti furono condotti nella stanza del Balivo. Il capo cittadino si sedette alla sua scrivania spostando una pila di fogli accanto ad un vassoio per il cibo vuoto che da solo occupava l’ultima porzione del ripiano. Il resto del mobile era occupato da miniature di goblin simpatiche, ninnoli apotropaici e materiale per la scrittura. A guardarlo bene anche il Balivo appariva disordinato, sebbene gli abiti erano di alta foggia, il gambeson con i colori cittadini che davano sul bianco e blu aveva una base verde, il copricapo giallo e le scarpe rosse, dopo essersi fatto spazio con i gomiti sulla scrivania, intrecciò le dita usando le nocche per solleticarsi il naso e mettere a fuoco Kafraghas

Mumble, mumble, mumble -

Deman meditava mugugnando appena, l’elfo lo sentiva ma faceva finta che il fatto non era il suo.

Aaaah, un elfo vero - Esordì non celando entusiasmo - Sono sempre stato convinto sostenitore della vostra esistenza. Sappiate, messer elfo, che siete a casa vostra qua -

A Balì veramente l’erfo sta sotto à nostra custodia - Borbottò Artan cercando di evocare inesistenti doti diplomatiche
Chist m’ vo’ mett’r a faticà - Rabbrividì Kafraghas da sempre avverso al lavoro facendo eco al monco
Veramente, Balivo, l’elfo è nostro prigioniero per furto, lo portiamo alla capitale per un giudizio dell’alto consiglio, data la sua natura - Jonas cercò di mediare come poteva
Furto? Un elfo? - Deman terminò le domande retoriche a bocca aperta
Uanm’ “furto”, pe’ doje sasicce! - Protestò Kafraghas
Pure se so du sarsicce, sempre furto è - Artan assottigliò le palpebre, lapidario
Salsicce? - Deman spostò di scatto l’attenzione dal balestriere al barbaro
Lo hanno preso le guardie nel retrobottega del beccaio - Tentò di spiegare Jonas gratticchiandosi la nuca nervosamente
MA nun c’ stev o’ prezz acopp’. Parev à gratiss! - Protestò nuovamente il ladro
Nun c’entra che nun c’era er prezzo, allò te poi portà pure a’ sedia da’ taverna! - Artan sbuffò dalle narici con forza
Ma lo capisce?! - Deman si rivolse a Jonas mostrando i palmi e le righe sulla fronte
Allicc’ o’ pisc? - Gli fece eco Kafraghas scoppiando a ridere
EH?! - Il Balivo alternava uno sguardo confuso fra Artan ed il compagno
A’ CAPOCCHI’! - Fece il ladro guadagnandosi uno scappellotto dal proprio carceriere
Mostra rispetto per l’autorità, deficiente! - Anche Jonas rincarò la dose
Ma siete sicuri sia un elfo?! - Lewis si premeva le guance con le mani come a tenere la testa insieme

Balivo, niente. Sono i primi ad arrivare da Hops - Palindor interruppe il siparietto fiondandosi nello studio senza troppi complimenti, ma così com’era arrivato stava per andarsene, fu il Balivo a riacchiapparlo con un richiamo.

Grazie capitano, vorrà dire che i nostri ospiti resteranno un po’ qui in attesa - E sventolò una mano congedando il militare
Veramente… - Artan accennò ad un’obiezione mentre ancora si muoveva sulla sedia ma Deman prese a sventolare anche lui con la stessa mano
Nono, siete miei ospiti, insisto, un paio di giorni di riposo non potranno farvi che bene. Il mio assistente vi accompagnerà nei vostri alloggi e vi racconterà un po’ della città più bella delle tre ere! -

Effettivamente il Balivo li aveva accomodati bene: Ogni componente del gruppo aveva una stanza con un letto comodo, lenzuola pulite e credenza piena di cibo e bevande. Stettero un intero giorno senza fare praticamente nulla, i bambini furono condotti in una struttura dove poter stare con i loro coetanei e ricevere assistenza, mentre Artan e Jonas camminavano nervosamente per i corridoi dell’alloggio scambiandosi occhiatacce con alcuni soldati di guardia lì presenti.

Nollosò capitano, io vorrei andare via -

Ma Artan non sapeva bene cosa rispondere al sottoposto, lo condusse nella sala comune e si sedettero insieme alla tavolata da pranzo con una birra davanti.

Kafraghas dal canto suo passò la maggior parte del tempo a dormire e mangiare. Il sonno veniva conciliato sia dalla stanchezza accumulata che dal vino ingurgitato senza lesinare, e più ne portavano tanto ne veniva ingerito.

Artan sollevò le terga dalla panca e si avviò alla porta lasciando Jonas a risalire le scale, il balestriere occupò la stanza del superiore, frontale a quella dell’elfo. Il monco se ne andò a spasso per Khaywan seguendo la strada indicata da un soldato su di una garitta. Raggiunse un casermone e fu in breve ricevuto da Palindor.

Il generale non ha nulla in contrario, ma vi conviene? - Mormorò l’anziano soldato verso il barbaro mentre armeggiava con un documento - Partire subito in mezzo ai territori dove girano le tribù dei goblin? -

Artan si strinse nelle spalle - Nun me pare che li gobbli ve stanno a dà probblemi - Constatò quasi con una sorta di innocenza. Palindor inspirò profondamente e si prese qualche secondo - Se tu e Jonas volete tentare di proseguire ad est, liberi di provarci, sapete il fatto vostro, ma quei piccoli bastardi sono talmente numerosi che non punterei un ottone su di voi, capitano -

Il barbaro si congedò con un mugugno dopo aver annuito accondiscendente prima di voltarsi sui suoi passi. Quando fu lontano dalla visuale della caserma tagliò per un vicolo puntando verso il muro di cinta più vicino. Attraversò un sudicio quartiere povero dove in una struttura fatiscente era stata allestita una mensa dei poveri, tanta la calca che ebbe difficoltà a passare. Arrivato alle mura di cinta vide uno di quegli edifici che facevano da trono a delle canne fumarie di proporzioni titaniche. Avvicinandosi notò che il luogo emanava un calore intenso ed una puzza di metallo combusto, una guardia però gli impedì di entrare ed il soldato fu costretto a voltar il capo al cavallo e tornare ai suoi alloggi.

Jonas era ancora seduto sul letto di Artan, piegato ad appoggiare il busto con i gomiti sulle cosce ed il capo sulle dita intrecciate. Lo sguardo vispo del balestriere era fisso sulla porta e quando il capitano entrò pareva quasi attraversarlo.

Sta a dormì? - Borbottò il monco
A-Ahn - Annuì l’altro
- Ma porcoddue, è tutto il giorno! - Il monco chiuse la porta alle sue spalle, Jonas sollevò lo sguardo senza muovere un muscolo, incrociando quello del superiore che proseguì - E guardie nun so’ p’a protezione… - Espirò lentamente
Ma per tenerci sotto controllo - Mormorò il biondo annuendo lentamente
- ‘Sto Deman me sa che se sta a vennere l’erfo - Artan lanciò uno sguardo alla porta come per l’improvviso timore di qualcosa
Seppure dovesse arrivare il Tenente, faranno in modo di farlo proseguire - Jonas si alzò ed osservò l’altro, in attesa
Uhff - Sbuffò il barbaro - Prima à palude, mo’ sta Khaywan, annamo a parlà co’ Kaf e vedemo come s’à potemo scappottà -

Uscirono dalla stanza con i sensi allertati, notarono lo scricchiolare della porta, la puzza di muffa sotto gli arazzi, i candelabri poco puliti, la veste di polvere sull’ostentata opulenza. Gli occhi del balestriere inquadrarono le guardie che giocavano con delle carte in fondo al corridoio, appoggiandosi su di un tavolino, la manona del capitano spinse la porta della camera dove alloggiava l’elfo. L’uomo corrugò la fronte preparandosi ad uno scatto d’ira già solo a sentire la puzza d’alcol e la confusione in camera. Si avvicinò al letto dove l’elfo era sprofondato nel sonno sotto le coperte, afferrò il lenzuolo e le strappò via pronto a regalargli un pessimo risveglio.

Kafraghas era sparito.






domenica 3 febbraio 2019

Capitolo 3: Il Villaggio di Khaywan - PARTE 2


- Calma, Calma - Palindor teneva le mani in bella mostra sventolandole appena appena muovendo le dita libere, lo sguardo era fisso sulla punta sagomata del dardo di Jonas che già avvertiva passare la cotta di maglia come il burro. Il soldato di Khaywan restò per qualche secondo a fissare i due, che al contempo si scambiarono un paio di rapide occhiate fino a quando i muscoli si rilassarono.

- Non c’è bisogno di passare alle armi, elfo, saltimbanco o cos’altro, basta che non è un bandito e che voi di Hops garantiate per lui e per me non c’è problema - Bofonchiò il capitano mentre seguitava ancora ad avvicinarsi a Kafraghas che era intento a rivestirsi nuovamente da viaggiatore - E comunque, elfo, per me non c’è problema - Il soldato pronunciò quelle parole tossicchiando, le gote un po’ arrossate - Io non faccio tante distinzioni, cioè, come dire - Portò la mano dietro la nuca grattando nervosamente - Sono capace di vedere il bello in ogni dove, se qualcosa mi piace, ecco, mi piace! -

Jonas mise via la balestra ed adocchiò il prigioniero, aveva i denti serrati ed un sorrisone sornione. Kafraghas borbottò qualcosa e tirò dritto passando attraverso i due uomini in arme con qualche mannaggia a Jeppson di qua e mannaggia la colonna di là, raggiungendo il gruppo.

La compiacenza di Palindor nei confronti dell’inganno smascherato aiutò la compagnia a muoversi senza troppi intoppi, più avanzavano però, più il paesaggio sembrava cambiare. La contrastante marea verde che mescolava pianure e foreste ai piedi della catena montuosa rivolta ai territori prossimi ad Hops lasciò il posto a dei colori meno saturati, i fili d’erba tendevano a spezzarsi sotto le suole e rimanere schiacciati senza elasticità, mentre il terreno risultava più polveroso e facile da percorrere.

Ormai prossimi a Khaywan, si ritrovarono sotto un sole anemico nascosto dietro nubi stranamente scure, all’orizzonte pareva esservi un incendio che in tardo pomeriggio non si rivelò altro che le luci cittadine in lontananza, attorniate da una serie di canne fumarie alte come trabucchi che vomitavano nell’aria il loro carico di veleno. Quando Artan agganciò la catena i goblin erano già in bella vista davanti alle porte della città.

- Ahò ma che è, n’assedio - Scattò verso Palindor che però si limitò a scuotere il capo
- No, sono la “popolazione di riserva” - Si limitò a spiegare al barbaro

Kafraghas attraversò le porte affiancato da Jonas che quasi lo teneva sottobraccio senza però preoccuparsi di tenerlo sotto tiro, i bambini seguivano i due con aria intimorita restando nel perimetro disegnato dai soldati, quelli di Khaywan non parevano eccessivamente preoccupati dei goblin.

La città si presentava come un agglomerato urbano che tendeva a svilupparsi verso l’alto, le porte cittadine davano in un quartiere mercantile che era la bocca di comunicazione con il mondo esterno, al suo interno era facile vedere persone attorniate da guardie che davano vari comandi ai goblin. Gli esserini verdi, con la faccia furba e contraddistinti da un odore nauseabondo, non erano molto robusti fisicamente ma risultavano comunque adatti a svolgere ogni tipo di bassa mansione. Le guardie, tutti umani, erano particolarmente attenti sui movimenti di quelle creature e non lesinavano in scudisciate che a volte erano talmente gratuite che Jonas dovette trattenersi dal prendere a pugni un fabbro che era arrivato a tenere il goblin sotto lo stivale, la creaturina implorava perdono nella sua lingua strana e gutturale, ma l’uomo pareva essere sordo ad ogni compassione.

Successivamente passarono al quartiere residenziale, aveva un’architettura semplice e lineare, razionale ma di gusto, dava l’idea di grossi blocchi sviluppati in altezza in cui la vita poteva essere organizzata in maniera ordinata, l’unica pecca, a parte le scale da fare ovunque, era la sporcizia agli angoli delle strade che stonava in una zona che pareva essere riservata alla parte bene della popolazione.

Arrivarono infine davanti ad un edificio che li ospitò sotto un colonnato, un’ala era crollata e chiusa al pubblico mentre quella specularmente opposta pullulava di funzionari che parlavano freneticamente fra di loro mentre camminavano. Palindor fece un cenno ad Artan e questi si fermò, poi si lasciò andare in un sospiro - E va bene, andiamo a vedere se il tenente Felix è passato di qui prima di voi - Ed espirò con aria rassegnata mentre saliva il primo gradino, per poi voltarsi e congedare i suoi soldati.

- Artan per favore, intanto che controllo attendi qui, il Balivo vuole accogliere di persona ogni autorità esterna che giunge -

Palindor non attese risposta e sparì in quell’edificio, nonostante l’apparente sicurezza del luogo i bambini erano irrequieti, non solo per i goblin ma anche perché, sollevando il capo, videro che il quartiere residenziale era circondato da una cinta di edifici da cui partivano quelle altissime canne fumarie, la città sembrava una gabbia con delle sbarre nere.


domenica 27 gennaio 2019

Capitolo 3: Il Villaggio di Khaywan - PARTE 1

Passarono un paio di giorni come sospesi in una bolla statica. Il terreno morbido accarezzava le suole con ciglia verdi, solleticando le caviglie con numerosi fiorellini profumati e dai colori vivi. Alcune varietà di uccelli stagionali intonavano dei canti portati da una piacevole brezza che mitigava la morsa del sole. La luce era brillante ed accentuava l'affresco del paesaggio circostante, i monti offrivano non solo uno spettacolo multiforme da ammirare, con le loro rughe in bella vista, ma anche un solido punto di riferimento per orientarsi in quelle lande. 

La compagnia marciava in silenzio, Artan chiudeva la fila tenendo l’occhio fisso all'orizzonte ma con l’attenzione sui bambini che gli camminavano davanti. Ad aprire la strada vi era un Kafraghas borbottante che si muoveva sotto minaccia della balestra di Jonas. La mostruosa cavalcatura dei soldati si era dissolta insieme alla megera la sera prima, quindi il gruppo proseguiva a piedi. Il viaggio non costava fatica, i soldati avevano sufficienti razioni per tutti ed il pensiero del pericolo scampato rendeva quella piccola fatica qualcosa di addirittura piacevole.

Il monco ricordava che da quelle parti vi era il villaggio di Khaywan, oltre il nome nulla conosceva di quel luogo ma quantomeno rappresentava un porto civilizzato dove poter chiedere aiuto alle autorità del luogo. In quella situazione i militari sapevano benissimo cosa fare per potersi coordinare in qualche modo con la parte del gruppo dispersa. Di avamposto in avamposto verso la località finale avrebbero lasciato notizie ai loro colleghi locali sulla loro provenienza e dove fossero diretti, così avrebbe fatto anche il tenente o chi per esso per poter lasciare una traccia su dove proseguire e dare una stima dei tempi. Per chi si fosse trovato avanti sulla tabella di marcia sarebbe stato consono rallentare e procedere con più calma, mentre chi seguiva avrebbe accelerato il passo optando per un’andatura più spedita così da far assottigliare le possibilità di rincontrare la parte del gruppo dispersa.

A cambiare ritmo alla marcia fu il gracchiare dei corvi che anticipò una compagnia di uomini durante una sosta. Sopraggiunsero in numero ed armi mentre Artan era intento a mostrare ai bambini come accendere un fuoco, il barbaro sollevò lo sguardo e restò in attesa accigliato.

- Mai visto dei banditi con i mocciosi al seguito - Borbottò quello che pareva il capo
- Perché banditi nun semo - Gli sputò in risposta Artan
- Un barbaro - Commentò un soldato che era sopraggiunto con il nuovo gruppo, il maggiore in grado annuì
- Dove siete diretti - Sbrigativo il primo, mentre i suoi uomini cominciavano a circondare il falò
- Khaywan - Rispose Artan cominciando ad allarmarsi, cercando Jonas con lo sguardo che era accanto ad una tenda, teso anch'egli come la corda di uno strumento
- Immagino che tu sia la mamma - Alludendo di nuovo ai bambini, il capo di quella compagnia armata accennò un ghigno mentre i suoi uomini, dopo aver circondato il falò, posarono le mani sulle else delle spade.

Artan aveva lo sguardo ferino rivolto verso l’uomo che gli rivolgeva la parola, intanto però il suo moncherino si poggiò accanto alla catena appesa alla cintura, stava quasi per agganciare la palla chiodata quando:

- WEWEEEEE LASSAT STA’ E CRIATUR - Kafraghas spuntò fuori dalla tenda facendo trasalire tutti, aveva sostituito i pantaloni mancanti con un telo che gli faceva a mo’ di gonna, un panno gli avvolgeva il capo nascondendo le orecchie a punta ma lasciando cadere i lunghi capelli platino sulle spalle, e visto che c’era si era imbottito pure la camicia all'altezza del petto per darsi delle forme - E FIGGHI MII NUN S’ TOCCAN - mentre a quelle parole i ragazzini spaventati si riunirono intorno l’elfo in cerca di protezione.

Dapprima i soldati trasalirono, poi il loro capo distolse l’attenzione da Artan muovendo qualche passo verso Kaf con aria curiosa - Ma.. Ma.. - L’uomo si grattava perplesso il mascellone cercando di riordinare le idee - Sono tutti figli vostri? -

L’elfo piegò un ginocchio abbracciando i bambini e stringendoli con forse un po’ troppa forza - E SI, SO TUTT FIGLI MIJ, E STAT FACENN METTER A PPAUR SCUORNACCHIAT! - Protestò il travestito sbraitando con la voce elfica che poteva benissimo passare in qualche modo vagamente femminile.

Artan era lì ad osservare la scena con la bocca schiusa ed immobile, Jonas gli faceva eco, l’altro uomo invece si tolse subito l’elmo in segno di rispetto, stringendolo al petto - M.. Mi perdoni signora, siamo soldati di Khaywan, è che queste pianure pullulano di banditi e di goblin, pensavamo avessero rapito questi bambini - Il tono era fra l’incerto e l’esitante, l’uomo parlottava mentre cercava di capire le reazioni della “donna”. Kafraghas si rimise in piedi facendo scappare i bambini nella tenda, un paio di uomini della compagnia traducevano ai commilitoni le parole in quella lingua strana, simile al comune sebbene così diversa, ipotizzarono un dialetto delle Pianure Sanguinarie data la presenza così marcata di Artan, che prese poi la parola dopo essersi schiarito la voce con un paio di colpi di tosse.

- Allò, semo sordati de Hops, avemo attraversato a’ palude ma se semo persi cor tenente nostro, tenemo da annà a Khaywan pe’ na sosta e se dirigemo pe la capitale, e n’tanto vedemo pure se er tenente c’ha lassato a’ staffetta - Il barbaro si affrettò a spiegare la situazione, andando poi ad indicarsi - Io so’ Artan - Poi buttando il pollice dietro la spalla proseguì - Quelli so’ Jonas e Ka.. -

- KARMELA! - Si affrettò a concludere Kafraghas
- Eh, Karmela, sìsì - Annuì Artan
- Ahh, Karmela. Piacere di conoscervi, io sono Palindor - Il capo della compagnia si presentò scavalcando Artan alla bell'e meglio, avvicinandosi con un sorrisone compiaciuto verso l'elfo - Signora, permettetemi di dire che nonostante abbiate avuto tutti questi figli il vostro fisico è ancora impeccabile, ed il vostro viso di una dolcezza infinita

L’elfo fece un passo indietro, Jonas ficcò la testa nella tenda per controllare i bambini e sghignazzare in pace.
- Psst, che spaccimm tien a rirere - Borbottò il travestito sottovoce, poi sollevò un occhio ad intercettare Palindor che intanto gli si avvicinava ed abbracciò Jonas - Ammor mìj! - Il soldato trasalì ma Kafraghas serrò la stretta fino a fargli male, per poi sussurrare - We, chist m’o vò mett’r accùl -
- Diamine Kafraghas! - Borbottò Jonas facendo morire lì il seguito dell’imprecazione
- Statt zitt - Rincarò l’elfo minacciando il soldato con un coltello nascosto nella manica, l'altro deglutì ed annuì, incassando un sonoro bacio sulla fronte.

Palindor quando fu a pochi palmi da loro si riabbuiò - Vi accompagno a Khaywan - Disse soltanto, Artan annuì, rispondendo per tutti.

Fu un viaggio piuttosto lento, non solo per i bambini che avevano meno tolleranza degli adulti all'adattamento in altri ambienti, ma anche perché il militare che comandava la pattuglia di Khaywan si muoveva in modo da evitare sentieri troppo battuti, di tanto in tanto si fermava e faceva allontanare le sentinelle per una ricognizione, organizzava turni di guardia piuttosto rigidi. Arrivarono ad un punto in cui erano costretti a seguire un fiume, la cosa rallegrò la compagnia perché finalmente potevano farsi un bagno, rifocillarsi di acqua fresca ed avere un fianco protetto. Kafraghas era costretto a lavarsi in disparte con Jonas attaccato al groppone, il soldato di Hops aveva paura di lasciarsi scappare il prigioniero.

Trovarono una porzione di sponda riparata da un tronco collassato su di un grosso masso a formare una parete. Jonas era veloce con la balestra e l’elfo lo sapeva, era ad asciugarsi i capelli con gli abiti ai piedi con tutta calma, dando la schiena al carceriere.

- Ma insomma, quindi saresti un elfo -
- Eh
- Vi credevano tutti o estinti o in terre sconosciute da millenni -
- Bhò
- La smetti di rispondermi a monosillabi? Ti sembra tanto strano che siamo incuriositi da qualcosa che non dovrebbe esistere? -
- Vabbuò -
Jonas sbuffò - Come sei arrivato qui -
- Pe mezzo d’à maggìa -
- La magia?
- A-ahn - Mugugnò l’elfo annuendo
- E come? -
- M’hann iettat dint’o’ futur -
- Cioè vieni dal passato? Una magia ti ha portato qui nel f.. -
Lo stupore del soldato fu interrotto da un rumore sordo, Palindor era lì che li spiava, i suoi occhi su Kafraghas e la sua identità rivelata.

L’elfo restò immobile, Jonas aveva sempre la mano alla balestra anche se con un altro bersaglio.

Silenzio.