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Ciao a tutti! Questo sarà un post in evidenza che aggiornerò man mano che il Romanzo FantaSì verrà composto. Prima di iniziare volevo in...

mercoledì 26 dicembre 2018

Capitolo 2: Le paludi - PARTE 1


Lo schianto assordante, lo scorrere di urla ed infine il silenzio chiuso da un candido sipario. Tra la coltre di nebbia si intravedeva la mano che stringeva l’avambraccio ad uno dei soldati, tirato su da un commilitone, mentre insieme ad un altro si precipitarono a soccorrere la carrozza capovolta che sembrava un insetto a pancia all’aria.

Prima fu il monco ad essere tirato fuori, a fatica, dato che il fango non pareva volerlo lasciare, successivamente passarono al prigioniero di cui, però, pareva non esserci più traccia.

- Non può essere andato lontano! - Jonas, uno dei soldati, inveì rivolto verso le altre tre guardie battendo nervosamente la mano sul telaio - Dobbiamo avvisare il tenente! - concludendo con una certa agitazione, i suoi commilitoni Pax ed Anton annuirono all’unisono mentre il monco, dopo essersi schiarito le idee da quel crollo improvviso, si liberò la bocca impastata sputando di lato saliva e fango miste alle parole:

- Er Tenente sta ceppa, se ce pija che se semo persi l’erfo ce corca a tutti. Nun po’ esse annato chissà dove. Pe dietro nun se torna, ee paludi so immense. Pax, Antò, costeggiate er monte e beccateve cor tenente, Jò viè con me e trovamo a sto’ deficiente -

Artan, il barbaro delle pianure sanguinarie, istruì i commilitoni senza che questi osassero fiatare.

Bastò uno sguardo al cielo per avere la certezza di non percepire più il tempo. Il sole era ormai tramontato e l’abbraccio della nebbia aveva chiuso la vista al di là del capo, come una coperta sugli avventurieri. Per i soldati era difficile e fastidioso muoversi dato che i piedi affondavano in un suolo limaccioso che andava a premere contro il substrato impermeabile formato dai detriti vegetali accumulati dalla palude, il monco guidava l’avanzata camminando costa costa ai canneti, indicando di tanto in tanto qualche zona dove era meglio non mettere i piedi e parlano il meno possibile onde evitare di perdersi l’elfo che, ipoteticamente, già immaginava boccheggiare fra le sabbie mobili. Jonas ed Artan si spinsero allontanandosi dalla montagna con l’intenzione di andare comunque nel verso che portava alla fine del sentiero, disegnando una curva così da poter fare una ricognizione approfondita, sebbene inaccurata date le condizioni in cui versavano, ma almeno alla storta si sarebbero ricongiunti al gruppo. Di “contro” la palude sembrava giocare a loro favore: Lucciole, fuochi fatui, funghi luminescenti tendevano a dissipare la nebbia ad altezza d’uomo lasciando solo una leggera cataratta opaca e rendendo quasi pleonastico l’uso di torce o altre fonti di illuminazione per vedere, limitandole soltanto ad un uso segnaletico per l’eventuale disperso.

L’estrema ripetitività del paesaggio unita alla nebbia che col tempo inspessiva al posto del cielo sembrava togliere il fiato. - Credo che dovremmo girare di qua - Indicò Jonas alla vista di un albero palustre, ma Artan scosse il capo in segno di diniego - Ma che staje a dì, ‘namo verso er sud -.
Jonas si fermò un secondo, aggrottando il sopracciglio destro - Ma sud è di là - insistette
Il monco restò per un attimo interdetto - No, deqquà - E senza nemmeno attendere la risposta del compagno prese a far strada passando anche troppo vicino la pianta notata da Jonas. Una liana si fiondò sull’apristrada del duetto incontrando però la mano sana dell’uomo che non si fece problemi a strapparla, sputando una smorfia di disprezzo. Jonas osservò il compagno muoversi in quell’ambiente ostile senza risultare però troppo preoccupato per lui.

I lineamenti già duri del volto di Artan si irrigidirono man mano si apprestava la sera anche se gli elementi luminescenti di quell’ambiente rendevano l’intensificarsi della nebbia meno opprimente. Jonas ad un certo punto cadde sulle ginocchia senza più fiato - Non lo troveremo, e ci siamo persi. Torniamo indietro capitano - la voce era flebile, come l’incarnato del volto ormai sottile e pallido, il monco con il braccio ad uncino lo tirò su per l’ascella - Nun fa’ er gaggio che se semo sarvati - Indicando oltre.

Su di un acquitrino illuminato da dei funghi verdastri, vi era una sorta di ponticciolo di legno che a ragion veduta ispirava tutto meno che sicurezza. Vari ceppi piantati sul fondo e bloccati con effetto di sabbie mobili con delle travi mal tagliate e troppo infradiciate per restare tranquilli, i due uomini però videro quella strada artefatta come un sospirato traguardo. A Jonas tornarono le forze e, nonostante l’instabilità delle pedane si riuscì a proseguire fino ad un piccolo insediamento interamente costruito su quella zona della palude interamente sistemata con palafitte, aldilà delle quali il rischio di essere attaccati da alligatori o chissà cosa era molto concreto. I due soldati presero a muoversi attraversando alcune costruzioni rialzate che probabilmente fungevano da abitazioni collegate ai pontili tramite delle scalinate molto strette.

La “piazza” centrale di quell’insolito villaggio era anch’essa un’accozzaglia di travi capaci di reggere più o meno una cinquantina di persone tutte insieme, circondata da palafitte indipendenti su cui si ergevano edifici a più piani, visibili da tutto il villaggio. Ai piedi di uno di questi un gruppo di pescatori della palude era riunito a parlottare, zittendosi immediatamente alla vista dei due forestieri. Jonas si avvicinò deglutendo e respirando con la bocca; la palude era meno maleodorante dei suoi abitanti che risultavano molto bassi, tozzi ma come privi di spessore. La loro pelle dava l’idea del budino così come i lineamenti che tendevano ad essere flaccidi e cadenti, anche chi fra il gruppo era magro conservava comunque un ventre rigonfio da alcolizzato, mentre ad ogni movimento l’epidermide sotto al mento si muoveva come se fosse in eccesso.

- Signori - Jonas esordì con fin troppa educazione anche per lui, puntando gli occhi azzurri su quelli scuri e vacui incastonati in un bulbo giallastro di uno dei pescatori - Veniamo da nord, dove ci sono le montagne. Abbiamo avuto un incidente ed il nostro carro è andato distrutto, trasportavamo un uomo, avete visto un altro forestiero arrivare prima di noi? -

Gli occhi dei pescatori erano tutti incollati sul soldato, ignorando al momento la figura del commilitone alle sue spalle che lo superava in stazza, i visi di quegli uomini parevano tutti assomigliarsi nelle caratteristiche generali, in particolare quello sguardo fisso e vacuo. Tolti i lineamenti del volto, pareva lo stesso replicato una decina di volte. Uno di loro si fece avanti, l’età era indefinibile sebbene sembrasse più giovane di molti lì in mezzo - I troll - asserì come se stesse trascinandosi la voce in spalla - I troll attaccano i viaggiatori sui monti - non finì nemmeno la frase che un altro prese coraggio - Ma qua non vengono, no, qua affogherebbero - Dopo il primo, il secondo, anche gli altri presero a parlare ripetendo come una litania: - I troll non vengono qui, siamo al sicuro, nessun forestiero è arrivato, nessuno, solo voi -
Artan si spazientì e dopo aver sbuffato dalle narici come un toro, pose la mano sana sulla spalla del compagno e gli fece - Ahò, me stanno a fa venì l’ansia questi. Semo in un fantasy no? ‘Nnamo nella taverna a chiede. A zio ndò sta a locanda qua? -
I pescatori dopo un paio di secondi interdetti dal dialetto delle pianure sanguinarie indicarono all’unisono uno degli edifici più alti della piazza. La scalinata d’accesso dava su due sportelli schiusi in un ambiente scarsamente illuminato nonostante candele e torce che emanavano comunque uno strano bagliore verdognolo. Dietro ad un bancone rappezzato vi era un vecchio abituato a maneggiare boccali incrostati, le poche persone che c’erano sembravano tutti fratelli e bevevano tutti quanti la stessa cosa.

- Solo questo c’è - sputacchiò il vecchio oste ai due soldati mettendogli davanti altrettanti boccali che sembravano contenere del fango diluito
- E che è sta robba? - Ma Artan buttò giù senza manco attendere la risposta
- Acqua di palude fermentata con bile di coccodrillo - gracchiò il locandiere
- Li mortacci - tossì il soldato diventando paonazzo
- E comunque, nessun viandante - l’oste a questo punto sforzò un sorriso grottesco
- Niente eh? - fece eco Jonas cercando di distogliere lo sguardo da quei denti marci
- Niente -

La notte ormai era calata da poco e nonostante l’illuminazione naturale era impossibile muoversi nella palude in sicurezza, dopo l’infruttifero colloquio con il locandiere i due soldati decisero di affittare una stanza e consumare una razione militare di emergenza lì.
- C’ho mal de panza - Si lamentava Artan mentre cercava invano di chiudere la porta
- Quello schifo che ci hanno dato - Concordò Jonas mentre gli borbottava lo stomaco
- Nun m’a bevo che ‘nsanno gniente dell’erfo -
- Nemmeno io - Replicò l’altro mentre tentava di aprire la finestra bloccata
- Famo i turni de guardia, qua manco se chiude à porta - Sbottò il monco seccato che trasalì al suono della finestra aperta improvvisamente
- Sta venendo gente - Osservò Jonas con aria sorpresa
- De sera se vanno pure ‘sti tizi a beve quarcosa - Andando anche Artan ad affacciarsi
- ...tutto il villaggio

Entrambi si guardarono in faccia e senza proferire parola si avviarono di soppiatto verso la porta. La loro stanza era situata alla fine di un corridoio con altre due camere ai lati e dava su un’ala speculare con in mezzo la rampa di scale che portava alla sala comune. Non pareva vi fossero altri avventori quindi fu facile per i due avvicinarsi al bordo della parete per spiare ed origliare.

- ...Si ma qui non lo troveranno -
- Sono comunque un pericolo, sono due soldati armati ed addestrati -
- Ma hai visto quanti ne siamo? -
Il vociare era molto basso, indistinguibile dal tipico mormorio delle taverne per chi fosse rimasto nelle stanze. Vi erano almeno una cinquantina di pescatori che sembravano bene o male tutti parenti e nessuno beveva, ad un tratto una figura più alta, coperta da una tunica sudicia ed addobbata con vegetazione palustre, sollevò un braccio da cui fuoriuscì quello che sembrava un tentacolo, a quella vista il vociare si interruppe e restarono tutti in silenzio a fissarlo.

- L’elfo appartiene alle signore, i forestieri devono morire - Sibilò con una voce dell’oltretomba.

I due soldati si guardarono di nuovo negli occhi, tesi e veloci mentre i pescatori cominciarono a mobilitarsi, notarono che avevano arpioni, accette, balestre e che si dirigevano in maniera spedita verso le scale. Jonas ed Artan si fiondarono nella stanza immediatamente di fronte senza far rumore, questa non solo si chiudeva ma aveva pure un chiavistello.

- Che botta de culo - Sputò Artan quasi sarcastico mentre faceva segno a Jonas di dargli una mano a spostare un armadio contro la porta dopo aver chiuso il chiavistello
- Che li vuoi affrontare? - Domandò il soldato con timore, ma il monco gli fece un segno di diniego indicando una finestra
- So’ troppi, se damo alla macchia, viè! -
Il suono dei passi rimbombava per quell’edificio pericolante, urla di disappunto si alzarono quando videro la stanza dei forestieri vuota, i pescatori però ci misero pochi secondi ad individuare la porta bloccata e cominciarono a sfondarla a suon di accettate e spallate.
All’interno della stanza i due uomini sfondarono la finestra e dandosi una mano, un po’ goffamente, riuscirono a raggiungere il tetto mentre quella che ormai era diventata una folla li inseguiva. Quelli armati di arpioni si arrampicarono anch’essi mentre gli altri si riversarono in piazza per tentare un inseguimento dal basso, intanto qualche dardo di balestra cominciò a far fischiare il vento inutilmente.

Il tetto della locanda, molto più in alto rispetto alla maggior parte degli edifici, offriva un ottimo riparo dai balestrieri giù. I due soldati corsero verso un’altra costruzione restando in copertura, separata da circa tre metri di caduta nelle sabbie mobili. Entrambi saltarono e Jonas, mentre ancora si metteva sul ginocchio dopo la rotolata, tirò fuori la sua balestra leggera freddando uno degli inseguitori ancora sul tetto della taverna.

- Daje Jò, te staje a’ imparà eh?! - Gli sogghignò Artan di sbieco, ricevendo un sorriso ferino - Nnamo deqquà, levamose da sta piazza demmerda - Il barbaro non ebbe nemmeno tempo di finire la frase che il commilitone aveva già scoccato un altro dardo e caricato un terzo. Verso l’interno del villaggio si stagliava una sorta di magazzino lungo almeno duecento metri, il salto da fare era più lungo ma quantomeno la piattaforma di atterraggio sarebbe stata più in basso, consentendo agli uomini di poter fare una parabola e passare così in una zona dove, per essere raggiunti, gli inseguitori sulle passerelle avrebbero dovuto rifare il giro concedendo qualche altro minuto di vantaggio.

Il monco ed il biondo, seppur grossi e ben piazzati, riuscirono a spiccare un salto molto agile con una caduta morbida ma su di un legno talmente marcio da collassare senza opporre resistenza. Caddero entrambi in una sala molto ampia ma oscura, il cui olezzo a stento fece trattenere i conati di vomito ai due, Jonas accese una piccola lanterna schermata accennando a muoversi, ma trovando subito sulla strada il massiccio avambraccio mozzo e ferrato di Artan
- N’attimo, ce sta quarcosa che nun và - Disse quasi tossendo

Intorno a loro vi erano dei movimenti nelle ombre, lenti e pastosi, sollevando la lanterna videro di essere circondati da una moltitudine di esseri umanoidi le cui carni però parevano fondersi fra di loro, esseri dall’aspetto semi disciolto con le estremità che sembravano assumere una parvenza ittica: Capi glabri dalla forma allungata simili a delle seppie, gambe indistinguibili da braccia sulle cui dita allungate parevano formarsi delle ventose, le bocche dove non avevano brandelli tentacolari presentavano come delle morse simili a quelle delle formiche, ed alcuni di questi divoravano cannibalizzando sia il proprio prossimo che probabilmente se stessi. Intorno ai due guerrieri si alzò una litania simile ad un canto di dolore che invocava contemporaneamente le “tre madri” ed il “demone abissale”, intanto all’esterno i passi degli inseguitori diventavano sempre più vicini.

- Direi di proseguire - soffiò velocemente Jonas indicando il lato opposto del magazzino senza incontrare resistenza nemmeno da quegli esseri assurdi che si cannibalizzavano, i due soldati si lasciarono metà deposito alle spalle, così come gli inseguitori, fino a quando un forte tonfo nell’oscurità segnò l’ingresso di un’altra creatura che arrivò sfondando il portone che presumibilmente doveva rappresentare l’uscita per i fuggitivi.

Un colosso a quattro zampe alto di schiena oltre i tre metri con un capo grosso quanto una botte da cantina. Innumerevoli occhi da cui fuoriusciva una luce nera puntavano i due umani mentre una bocca piena di denti si aprì dal mento fino a metà sterno, infine l’essere partì alla carica. Da vicino quella cosa puzzava in maniera immonda e sembrava composto di carcasse in putrefazione e correva senza curarsi di spappolare sotto le zampe piene di artigli le altre creature innocue.

Jonas, che era più avanti, portò l’avambraccio davanti al naso e vi poggiò la balestra, scoccando un dardo che affondò nella creatura senza rallentarla minimamente. Alla vista del bestione che si avvicinava sempre di più, la litania delle creature deformi che gli rimbombava in testa, la puzza tremenda che gli strappava i polmoni, cedette e lasciò cadere l’arma rinunciando a ricaricare e restando imbambolato sulla traiettoria dell’essere. Arrivata nei pressi di Jonas, la creatura spiccò un balzo facendo tremare tutto il deposito, scagliandosi sul malcapitato che restava lì confuso mentre balbettava cose senza senso. La spallata di Artan scagliò a terra il soldato sotto shock facendo impattare gli artigli del mostro che intanto era lanciato all’attacco contro il grosso scudo del barbaro, la creatura dopo aver emesso un urlo furioso, strappò via la protezione in cui aveva ancora gli artigli conficcati preparandosi ad un nuovo assalto.

Faceva tutt’altro che caldo ma il monco sudava, non posò nemmeno per un istante lo sguardo sul compagno a terra che si dimenava in mezzo agli esseri amorfi. Piantò il piede destro in avanti e spostò il peso roteando verso il mostro la grossa e pesante palla chiodata che aveva assicurata al moncherino con una catena, agganciata poc’anzi. Come una cometa impattò sulla testa della creatura in un rumore di carne strappata ed ossa rotte. Stava quasi per ritirare l’arma quando notò che il mostro restava lì immobile, e di riflesso anche Artan si bloccò per poi essere richiamato alla realtà da Jonas, ripresosi successivamente all’attacco del barbaro.

- Non ci inseguono, per qualche motivo stanno attendendo fuori, tagliamo la corda! - Urlò il soldato in maniera isterica indicando il portone distrutto dal mostro che dava all’esterno. Il monco tirò appena nuovamente il braccio e la creatura fece un passo, poi girò il polso fantasma e l’essere ruotò, infine posò nuovamente lo sguardo su Jonas con una faccia stralunata ed un sorriso incredulo e divertito sul grugno: - Salta sù! -


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