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Ciao a tutti! Questo sarà un post in evidenza che aggiornerò man mano che il Romanzo FantaSì verrà composto. Prima di iniziare volevo in...

mercoledì 26 dicembre 2018

Capitolo 2: Le paludi - PARTE 1


Lo schianto assordante, lo scorrere di urla ed infine il silenzio chiuso da un candido sipario. Tra la coltre di nebbia si intravedeva la mano che stringeva l’avambraccio ad uno dei soldati, tirato su da un commilitone, mentre insieme ad un altro si precipitarono a soccorrere la carrozza capovolta che sembrava un insetto a pancia all’aria.

Prima fu il monco ad essere tirato fuori, a fatica, dato che il fango non pareva volerlo lasciare, successivamente passarono al prigioniero di cui, però, pareva non esserci più traccia.

- Non può essere andato lontano! - Jonas, uno dei soldati, inveì rivolto verso le altre tre guardie battendo nervosamente la mano sul telaio - Dobbiamo avvisare il tenente! - concludendo con una certa agitazione, i suoi commilitoni Pax ed Anton annuirono all’unisono mentre il monco, dopo essersi schiarito le idee da quel crollo improvviso, si liberò la bocca impastata sputando di lato saliva e fango miste alle parole:

- Er Tenente sta ceppa, se ce pija che se semo persi l’erfo ce corca a tutti. Nun po’ esse annato chissà dove. Pe dietro nun se torna, ee paludi so immense. Pax, Antò, costeggiate er monte e beccateve cor tenente, Jò viè con me e trovamo a sto’ deficiente -

Artan, il barbaro delle pianure sanguinarie, istruì i commilitoni senza che questi osassero fiatare.

Bastò uno sguardo al cielo per avere la certezza di non percepire più il tempo. Il sole era ormai tramontato e l’abbraccio della nebbia aveva chiuso la vista al di là del capo, come una coperta sugli avventurieri. Per i soldati era difficile e fastidioso muoversi dato che i piedi affondavano in un suolo limaccioso che andava a premere contro il substrato impermeabile formato dai detriti vegetali accumulati dalla palude, il monco guidava l’avanzata camminando costa costa ai canneti, indicando di tanto in tanto qualche zona dove era meglio non mettere i piedi e parlano il meno possibile onde evitare di perdersi l’elfo che, ipoteticamente, già immaginava boccheggiare fra le sabbie mobili. Jonas ed Artan si spinsero allontanandosi dalla montagna con l’intenzione di andare comunque nel verso che portava alla fine del sentiero, disegnando una curva così da poter fare una ricognizione approfondita, sebbene inaccurata date le condizioni in cui versavano, ma almeno alla storta si sarebbero ricongiunti al gruppo. Di “contro” la palude sembrava giocare a loro favore: Lucciole, fuochi fatui, funghi luminescenti tendevano a dissipare la nebbia ad altezza d’uomo lasciando solo una leggera cataratta opaca e rendendo quasi pleonastico l’uso di torce o altre fonti di illuminazione per vedere, limitandole soltanto ad un uso segnaletico per l’eventuale disperso.

L’estrema ripetitività del paesaggio unita alla nebbia che col tempo inspessiva al posto del cielo sembrava togliere il fiato. - Credo che dovremmo girare di qua - Indicò Jonas alla vista di un albero palustre, ma Artan scosse il capo in segno di diniego - Ma che staje a dì, ‘namo verso er sud -.
Jonas si fermò un secondo, aggrottando il sopracciglio destro - Ma sud è di là - insistette
Il monco restò per un attimo interdetto - No, deqquà - E senza nemmeno attendere la risposta del compagno prese a far strada passando anche troppo vicino la pianta notata da Jonas. Una liana si fiondò sull’apristrada del duetto incontrando però la mano sana dell’uomo che non si fece problemi a strapparla, sputando una smorfia di disprezzo. Jonas osservò il compagno muoversi in quell’ambiente ostile senza risultare però troppo preoccupato per lui.

I lineamenti già duri del volto di Artan si irrigidirono man mano si apprestava la sera anche se gli elementi luminescenti di quell’ambiente rendevano l’intensificarsi della nebbia meno opprimente. Jonas ad un certo punto cadde sulle ginocchia senza più fiato - Non lo troveremo, e ci siamo persi. Torniamo indietro capitano - la voce era flebile, come l’incarnato del volto ormai sottile e pallido, il monco con il braccio ad uncino lo tirò su per l’ascella - Nun fa’ er gaggio che se semo sarvati - Indicando oltre.

Su di un acquitrino illuminato da dei funghi verdastri, vi era una sorta di ponticciolo di legno che a ragion veduta ispirava tutto meno che sicurezza. Vari ceppi piantati sul fondo e bloccati con effetto di sabbie mobili con delle travi mal tagliate e troppo infradiciate per restare tranquilli, i due uomini però videro quella strada artefatta come un sospirato traguardo. A Jonas tornarono le forze e, nonostante l’instabilità delle pedane si riuscì a proseguire fino ad un piccolo insediamento interamente costruito su quella zona della palude interamente sistemata con palafitte, aldilà delle quali il rischio di essere attaccati da alligatori o chissà cosa era molto concreto. I due soldati presero a muoversi attraversando alcune costruzioni rialzate che probabilmente fungevano da abitazioni collegate ai pontili tramite delle scalinate molto strette.

La “piazza” centrale di quell’insolito villaggio era anch’essa un’accozzaglia di travi capaci di reggere più o meno una cinquantina di persone tutte insieme, circondata da palafitte indipendenti su cui si ergevano edifici a più piani, visibili da tutto il villaggio. Ai piedi di uno di questi un gruppo di pescatori della palude era riunito a parlottare, zittendosi immediatamente alla vista dei due forestieri. Jonas si avvicinò deglutendo e respirando con la bocca; la palude era meno maleodorante dei suoi abitanti che risultavano molto bassi, tozzi ma come privi di spessore. La loro pelle dava l’idea del budino così come i lineamenti che tendevano ad essere flaccidi e cadenti, anche chi fra il gruppo era magro conservava comunque un ventre rigonfio da alcolizzato, mentre ad ogni movimento l’epidermide sotto al mento si muoveva come se fosse in eccesso.

- Signori - Jonas esordì con fin troppa educazione anche per lui, puntando gli occhi azzurri su quelli scuri e vacui incastonati in un bulbo giallastro di uno dei pescatori - Veniamo da nord, dove ci sono le montagne. Abbiamo avuto un incidente ed il nostro carro è andato distrutto, trasportavamo un uomo, avete visto un altro forestiero arrivare prima di noi? -

Gli occhi dei pescatori erano tutti incollati sul soldato, ignorando al momento la figura del commilitone alle sue spalle che lo superava in stazza, i visi di quegli uomini parevano tutti assomigliarsi nelle caratteristiche generali, in particolare quello sguardo fisso e vacuo. Tolti i lineamenti del volto, pareva lo stesso replicato una decina di volte. Uno di loro si fece avanti, l’età era indefinibile sebbene sembrasse più giovane di molti lì in mezzo - I troll - asserì come se stesse trascinandosi la voce in spalla - I troll attaccano i viaggiatori sui monti - non finì nemmeno la frase che un altro prese coraggio - Ma qua non vengono, no, qua affogherebbero - Dopo il primo, il secondo, anche gli altri presero a parlare ripetendo come una litania: - I troll non vengono qui, siamo al sicuro, nessun forestiero è arrivato, nessuno, solo voi -
Artan si spazientì e dopo aver sbuffato dalle narici come un toro, pose la mano sana sulla spalla del compagno e gli fece - Ahò, me stanno a fa venì l’ansia questi. Semo in un fantasy no? ‘Nnamo nella taverna a chiede. A zio ndò sta a locanda qua? -
I pescatori dopo un paio di secondi interdetti dal dialetto delle pianure sanguinarie indicarono all’unisono uno degli edifici più alti della piazza. La scalinata d’accesso dava su due sportelli schiusi in un ambiente scarsamente illuminato nonostante candele e torce che emanavano comunque uno strano bagliore verdognolo. Dietro ad un bancone rappezzato vi era un vecchio abituato a maneggiare boccali incrostati, le poche persone che c’erano sembravano tutti fratelli e bevevano tutti quanti la stessa cosa.

- Solo questo c’è - sputacchiò il vecchio oste ai due soldati mettendogli davanti altrettanti boccali che sembravano contenere del fango diluito
- E che è sta robba? - Ma Artan buttò giù senza manco attendere la risposta
- Acqua di palude fermentata con bile di coccodrillo - gracchiò il locandiere
- Li mortacci - tossì il soldato diventando paonazzo
- E comunque, nessun viandante - l’oste a questo punto sforzò un sorriso grottesco
- Niente eh? - fece eco Jonas cercando di distogliere lo sguardo da quei denti marci
- Niente -

La notte ormai era calata da poco e nonostante l’illuminazione naturale era impossibile muoversi nella palude in sicurezza, dopo l’infruttifero colloquio con il locandiere i due soldati decisero di affittare una stanza e consumare una razione militare di emergenza lì.
- C’ho mal de panza - Si lamentava Artan mentre cercava invano di chiudere la porta
- Quello schifo che ci hanno dato - Concordò Jonas mentre gli borbottava lo stomaco
- Nun m’a bevo che ‘nsanno gniente dell’erfo -
- Nemmeno io - Replicò l’altro mentre tentava di aprire la finestra bloccata
- Famo i turni de guardia, qua manco se chiude à porta - Sbottò il monco seccato che trasalì al suono della finestra aperta improvvisamente
- Sta venendo gente - Osservò Jonas con aria sorpresa
- De sera se vanno pure ‘sti tizi a beve quarcosa - Andando anche Artan ad affacciarsi
- ...tutto il villaggio

Entrambi si guardarono in faccia e senza proferire parola si avviarono di soppiatto verso la porta. La loro stanza era situata alla fine di un corridoio con altre due camere ai lati e dava su un’ala speculare con in mezzo la rampa di scale che portava alla sala comune. Non pareva vi fossero altri avventori quindi fu facile per i due avvicinarsi al bordo della parete per spiare ed origliare.

- ...Si ma qui non lo troveranno -
- Sono comunque un pericolo, sono due soldati armati ed addestrati -
- Ma hai visto quanti ne siamo? -
Il vociare era molto basso, indistinguibile dal tipico mormorio delle taverne per chi fosse rimasto nelle stanze. Vi erano almeno una cinquantina di pescatori che sembravano bene o male tutti parenti e nessuno beveva, ad un tratto una figura più alta, coperta da una tunica sudicia ed addobbata con vegetazione palustre, sollevò un braccio da cui fuoriuscì quello che sembrava un tentacolo, a quella vista il vociare si interruppe e restarono tutti in silenzio a fissarlo.

- L’elfo appartiene alle signore, i forestieri devono morire - Sibilò con una voce dell’oltretomba.

I due soldati si guardarono di nuovo negli occhi, tesi e veloci mentre i pescatori cominciarono a mobilitarsi, notarono che avevano arpioni, accette, balestre e che si dirigevano in maniera spedita verso le scale. Jonas ed Artan si fiondarono nella stanza immediatamente di fronte senza far rumore, questa non solo si chiudeva ma aveva pure un chiavistello.

- Che botta de culo - Sputò Artan quasi sarcastico mentre faceva segno a Jonas di dargli una mano a spostare un armadio contro la porta dopo aver chiuso il chiavistello
- Che li vuoi affrontare? - Domandò il soldato con timore, ma il monco gli fece un segno di diniego indicando una finestra
- So’ troppi, se damo alla macchia, viè! -
Il suono dei passi rimbombava per quell’edificio pericolante, urla di disappunto si alzarono quando videro la stanza dei forestieri vuota, i pescatori però ci misero pochi secondi ad individuare la porta bloccata e cominciarono a sfondarla a suon di accettate e spallate.
All’interno della stanza i due uomini sfondarono la finestra e dandosi una mano, un po’ goffamente, riuscirono a raggiungere il tetto mentre quella che ormai era diventata una folla li inseguiva. Quelli armati di arpioni si arrampicarono anch’essi mentre gli altri si riversarono in piazza per tentare un inseguimento dal basso, intanto qualche dardo di balestra cominciò a far fischiare il vento inutilmente.

Il tetto della locanda, molto più in alto rispetto alla maggior parte degli edifici, offriva un ottimo riparo dai balestrieri giù. I due soldati corsero verso un’altra costruzione restando in copertura, separata da circa tre metri di caduta nelle sabbie mobili. Entrambi saltarono e Jonas, mentre ancora si metteva sul ginocchio dopo la rotolata, tirò fuori la sua balestra leggera freddando uno degli inseguitori ancora sul tetto della taverna.

- Daje Jò, te staje a’ imparà eh?! - Gli sogghignò Artan di sbieco, ricevendo un sorriso ferino - Nnamo deqquà, levamose da sta piazza demmerda - Il barbaro non ebbe nemmeno tempo di finire la frase che il commilitone aveva già scoccato un altro dardo e caricato un terzo. Verso l’interno del villaggio si stagliava una sorta di magazzino lungo almeno duecento metri, il salto da fare era più lungo ma quantomeno la piattaforma di atterraggio sarebbe stata più in basso, consentendo agli uomini di poter fare una parabola e passare così in una zona dove, per essere raggiunti, gli inseguitori sulle passerelle avrebbero dovuto rifare il giro concedendo qualche altro minuto di vantaggio.

Il monco ed il biondo, seppur grossi e ben piazzati, riuscirono a spiccare un salto molto agile con una caduta morbida ma su di un legno talmente marcio da collassare senza opporre resistenza. Caddero entrambi in una sala molto ampia ma oscura, il cui olezzo a stento fece trattenere i conati di vomito ai due, Jonas accese una piccola lanterna schermata accennando a muoversi, ma trovando subito sulla strada il massiccio avambraccio mozzo e ferrato di Artan
- N’attimo, ce sta quarcosa che nun và - Disse quasi tossendo

Intorno a loro vi erano dei movimenti nelle ombre, lenti e pastosi, sollevando la lanterna videro di essere circondati da una moltitudine di esseri umanoidi le cui carni però parevano fondersi fra di loro, esseri dall’aspetto semi disciolto con le estremità che sembravano assumere una parvenza ittica: Capi glabri dalla forma allungata simili a delle seppie, gambe indistinguibili da braccia sulle cui dita allungate parevano formarsi delle ventose, le bocche dove non avevano brandelli tentacolari presentavano come delle morse simili a quelle delle formiche, ed alcuni di questi divoravano cannibalizzando sia il proprio prossimo che probabilmente se stessi. Intorno ai due guerrieri si alzò una litania simile ad un canto di dolore che invocava contemporaneamente le “tre madri” ed il “demone abissale”, intanto all’esterno i passi degli inseguitori diventavano sempre più vicini.

- Direi di proseguire - soffiò velocemente Jonas indicando il lato opposto del magazzino senza incontrare resistenza nemmeno da quegli esseri assurdi che si cannibalizzavano, i due soldati si lasciarono metà deposito alle spalle, così come gli inseguitori, fino a quando un forte tonfo nell’oscurità segnò l’ingresso di un’altra creatura che arrivò sfondando il portone che presumibilmente doveva rappresentare l’uscita per i fuggitivi.

Un colosso a quattro zampe alto di schiena oltre i tre metri con un capo grosso quanto una botte da cantina. Innumerevoli occhi da cui fuoriusciva una luce nera puntavano i due umani mentre una bocca piena di denti si aprì dal mento fino a metà sterno, infine l’essere partì alla carica. Da vicino quella cosa puzzava in maniera immonda e sembrava composto di carcasse in putrefazione e correva senza curarsi di spappolare sotto le zampe piene di artigli le altre creature innocue.

Jonas, che era più avanti, portò l’avambraccio davanti al naso e vi poggiò la balestra, scoccando un dardo che affondò nella creatura senza rallentarla minimamente. Alla vista del bestione che si avvicinava sempre di più, la litania delle creature deformi che gli rimbombava in testa, la puzza tremenda che gli strappava i polmoni, cedette e lasciò cadere l’arma rinunciando a ricaricare e restando imbambolato sulla traiettoria dell’essere. Arrivata nei pressi di Jonas, la creatura spiccò un balzo facendo tremare tutto il deposito, scagliandosi sul malcapitato che restava lì confuso mentre balbettava cose senza senso. La spallata di Artan scagliò a terra il soldato sotto shock facendo impattare gli artigli del mostro che intanto era lanciato all’attacco contro il grosso scudo del barbaro, la creatura dopo aver emesso un urlo furioso, strappò via la protezione in cui aveva ancora gli artigli conficcati preparandosi ad un nuovo assalto.

Faceva tutt’altro che caldo ma il monco sudava, non posò nemmeno per un istante lo sguardo sul compagno a terra che si dimenava in mezzo agli esseri amorfi. Piantò il piede destro in avanti e spostò il peso roteando verso il mostro la grossa e pesante palla chiodata che aveva assicurata al moncherino con una catena, agganciata poc’anzi. Come una cometa impattò sulla testa della creatura in un rumore di carne strappata ed ossa rotte. Stava quasi per ritirare l’arma quando notò che il mostro restava lì immobile, e di riflesso anche Artan si bloccò per poi essere richiamato alla realtà da Jonas, ripresosi successivamente all’attacco del barbaro.

- Non ci inseguono, per qualche motivo stanno attendendo fuori, tagliamo la corda! - Urlò il soldato in maniera isterica indicando il portone distrutto dal mostro che dava all’esterno. Il monco tirò appena nuovamente il braccio e la creatura fece un passo, poi girò il polso fantasma e l’essere ruotò, infine posò nuovamente lo sguardo su Jonas con una faccia stralunata ed un sorriso incredulo e divertito sul grugno: - Salta sù! -


lunedì 24 dicembre 2018

Romanzo, racconto o videogioco e la trama: Le 3 caratteristiche contemporanee

Oggi tengo genio di scrivere sebbene non si tratti della prosecuzione del racconto - che ho già pronto in realtà - ma della creazione di una sorta di ..rubrica(?). Insomma tengo un blog no? Ha fatto circa 200 lettori dal primo post, quindi, di media ci sta un po' di gente che è venuta a sbirciare, tanto vale interagire, confrontarsi e crescere.

Su cosa scrivo quindi? Semplicemente un'opinione/analisi sui lettori prendendo in primis me come riferimento, dato che se da un lato scrivo, dall'altro leggo circa un libro al mese e se non facessi due lavori probabilmente raddoppierei il mio tempo di lettura, ed infine sbirciando i dati che posso raccogliere tra il blog e facebook.

L'analisi che intendo fare parte da quelle che definisco "esigenze di trama", cioè la risposta alla domanda che mi sono posto: Che tipo di trama mi piacerebbe leggere, quali caratteristiche deve avere?

Diventa pleonastico rispondere che deve essere ben strutturata, scritta ed avvincente. Le caratteristiche generali non mi interessano più di tanto perché sono dettate semplicemente dal buon senso, voglio piuttosto mettere l'accento su alcune peculiarità che, sebbene siano logiche, sono poco discusse.

1) Trama personale

Che intendo con ciò? Semplicemente l'indirizzo generale della macro trama. Sono dell'opinione che l'interesse di una storia sia suscitato non solo dalle caratteristiche sopracitate ma anche da alcuni zeitgeist con cui ci interfacciamo quotidianamente nella nostra vita. Negli anni 80-90 si è visto il successo degli "Action Heroes", gente che salvava il mondo, salvava questo, salvava quello. Erano gli anni del boom economico ed c.d. Boomers, non dovendo necessariamente "pensare troppo alla vita", si rispecchiavano in eroi che facevano qualcosa di straordinario dato che l'ordinario era piuttosto scontato. Oggi no, molti di noi sono precari, vivono fuori sede, fanno sacrifici immani, e tendenzialmente tralasciando alcuni fortunati produciamo meno reddito rispetto ai nostri genitori. Il nostro quotidiano non è più scontato o socialmente condiviso, per noi vivere giorno per giorno equivale ad un'avventura, una battaglia, ecco perché tendenzialmente credo che ci rispecchiamo in eroi la cui avventura principale è per la propria vita. Si, i nostri protagonisti potranno salvare mondi, regni, personalità importanti, ma quello che si suda la vita lo sentiremo più nostro.

2) Nè eroe nè antieroe

Il tempo dell'infanzia è finito e siamo mediamente più istruiti rispetto al passato. Significa che il nostro interesse viene catalizzato da situazioni sempre più sfaccettate e complesse, avete presente il successo di GoT (o Asoiaf per i puristi)? Vabbè, lì si fa un poco di bordello esagerando all'eccesso con gli intrecci, ma il senso è quello. Abbiamo necessità di essere stimolati intellettualmente in maniera meno semplice; non siamo più bambini, le favolette ci possono piacere o interessare come pezzi d'antiquariato e di media l'alta mole di informazioni ed istruzione con cui ci confrontiamo ci rendono più avvezzi a complessità strutturali di trama e retorica, quindi anche l'interiorità dei personaggi deve rispondere a queste caratteristiche. Come lo vedete il buono che fa sempre il buono e si comporta da buono? Oppure il nuovo personaggio che entra in scena con la voce da cattivo, i vestiti da cattivo, le azioni da cattivo e che n'altro poco vi fa "wagliù, io sono cattivo eh?". Oppure il classico buono che diventa cattivo o il buono che in realtà è burbero e tenebroso? Sono belli, vanno bene, ma, imho, la chiave di tutto è una: Trasformazione.

3) La fruibilità pratica

Questa è una caratteristica dettata dall'esperienza squisitamente personale dello scrivente. In linea di massima mi interfaccio con un "pubblico" della mia età a salire o immediatamente precedente, che come me, si ritrova a desiderare i giorni composti da 36 ore o più; chi lavora tanto, ha famiglia, ma anche chi non la ha e si trova a dover studiare e lavorare o studiare fuori con tutti gli annessi e connessi del caso. La struttura ideale (o almeno quella ideale per me) diventa quindi quella di simulare la "serie", la produzione regolare di spezzoni che man mano andranno a comporre tutto il mosaico. Ad onor del vero con un libro si fa la stessa cosa, basta mettere il segnalibro elettronico oppure piegare la pagina quando si appoggia sul comodino, ma come si fa quando il libro non è finito? Oppure, e se io non volessi finirlo il libro? E se domani si dovesse creare un pubblico che esterna idee e suggerimenti? Perché la trama non dovrebbe prendere un'altra piega rispetto a quella che mi ero prefissato, grazie ai commenti?

Insomma, queste sono le 3 caratteristiche che ho deciso di attribuire alla storiella che sto condividendo, non è detto che ci riesca dato che non sono uno scrittore professionista, prendete il tutto come se fossero i miei 2 cents. Infine voglio aggiungere la "bonus feat.", cioè il perché scrivere. Il primo motivo molto comune sono i soldi (SI, AMMETTETELO, SI), il secondo è la vanagloria, (SI, AMMETTETELO#2, EGO EGO EGO), ma dato che il secondo è molto difficile raggiungerlo ed il primo alquanto impossibile, c'è un terzo motivo, personale che non starò a spiegare, quindi perché citarlo? Ma è semplice, decaduto il primo, decaduto il secondo, ci sarà sempre una ragione per continuare a scrivere.

Statev bbuon guagliù, e tant augurie a vuje e famiglij

sabato 22 dicembre 2018

Capitolo 1: Il viaggio


All’alba era praticamente tutto pronto. Una dozzina di uomini, tenente compreso, armati con corazze di cuoio, spada, scudo tondo, balestra leggera e faretra con dardi alle cosce; di materiale più resistente solo un giustacuore e l’elmo con la calotta, guanciale e nasale con annessa gronda in ferro. I soldati erano disposti per metà su due carri coperti, per l’altra a cavallo coprendo i punti cardinali. George ed Ugard viaggiavano sul primo carro insieme ad una scorta mentre Kafraghas con il tenente e le altre guardie sul secondo.

Il prigioniero aveva il capo e quasi interamente il volto nascosti da un cappuccio, le manette che stringevano i polsi contro i reni fermavano un sacchetto di cuoio che obbligava l’elfo a tenere le mani chiuse. Seduto di fronte vi era il tenente, aveva le rughe della fronte che facevano somigliare la pelle ad intonaco crepato, gli occhi fissi erano umidi e sembrava non sbattessero mai le palpebre, da seduto tendeva a stare con un fianco leggermente piegato, che lo costringeva a puntare il gomito contro il bordo dell’oblò rinforzato e l’occhio all’esterno.

Accanto Kafraghas vi era un militare della compagnia con un moncherino alla mano destra, il guardabraccio sopra la menomazione era in ferro con numerose cinghie ed alcuni gancetti nel mezzo, era sprovvisto di balestra ed uno scudo a goccia che nonostante fosse agganciato sulla schiena risultava parecchio ingombrante. Dopo un indefinito periodo di silenzio l’elfo inspirò profondamento sollevando appena il mento e con sguardo fisso sul tenente cominciò a scandire a modo suo delle parole.

- Aggia piscià -

Vi fu un rapido scambio di sguardi fra i due militari, nessuno però disse nulla. Uno sbuffò dalle narici, l’altro deglutì con una smorfia, entrambi ritornarono a scrutare pigramente l’esterno che veniva sospinto dalla carrozza.

- Eh, aggia piscià -

Lo sbuffo dei cavalli, il trascinarsi del carro, il clangore delle giunture delle ruote che faceva eco ai rumori metallici dei soldati a cavallo, il vociare di Geroge ed Ugard nella carrozza di fronte e lo sbadiglio del cocchiere.

Il sole picchiava così forte da costringere gli animali al riparo, alcune piante erano così bruciate da sembrare già essere baciate dall’autunno e Kafraghas aveva perso la pazienza. Senza più insistere divaricò leggermente le gambe facendo trasalire sia il tenente che il soldato mentre una chiazza d’umido si allargava divorando i calzoni.

- Ma figlio di puttana! Fai proprio schifo! -

L’urlo del militare zittì anche i due eruditi nella carrozza dirimpetto ed attirò gli sguardi incuriositi dei soldati - Non sembriamo una delegazione statale - Borbottò il religioso sporgendosi dall’oblò con il naso arricciato e lo sguardo fisso alla carrozza che li seguiva, lo studioso che gli sedeva di fianco imitò il compagno di viaggio nello sporgersi - Ma perché ci siamo fermati? -
La scena che videro era quella del soldato monco che scendeva tirandosi il prigioniero per il colletto, a quella vista Ugard balzò fuori per raggiungerli - Ma vi sembra il modo di trattare il nostro ospite? - Notando l’espressione, il soldato ebbe un attimo di esitazione che fu però dissipata dal tenente - Maestro, torni sul carro, ci pensiamo noi a questo schifoso - Quelle parole non furono nemmeno pronunciate che incontrarono il tono più deciso dell’accademico - Schifoso? Tenente questo è un elfo! Vi rendete conto che potrebbe far riscrivere tutta la nostra storia con la sua testimonianza? - Padre Goerge non si fece attendere - La sua testimonianza? La scrittura sacra basta ed avanza, non c’è niente da riscrivere prima dell’esodo! - Lo studioso si voltò per dare la faccia all’ultimo arrivato, incalzando - L’esodo potrebbe non essere stato un esodo, se oltre gli oceani gemelli vi fossero altre terre? -
- Un solo elfo Ugard! Non un equipaggio, inoltre non sappiamo nemmeno se è quello che pensiamo -
- Non hai mai mostrato dubbi sulla natura del nostro ospite, adesso che temi per le tue convinzioni ti stai ricredendo? -
- Abbiamo il dovere di restare con i piedi per terra! -
- Tu sei un chierico! Non sei mai stato con i piedi per terra! -
- Se è un elfo è anche una creatura divina! Le convinzioni DI CHI sono in pericolo? -

- DANNATI I RE DEI DEMONI, I MARI GEMELLI E MIA MADRE CHE MI HA MESSO AL MONDO! BASTA! - Esordì il tenente esausto peggio che al termine di una campagna militare, optando per spingere di nuovo in carrozza il prigioniero, premendogli con la mano contro la spalla senza attendere che metta nemmeno il piede sul gradino.

Kafraghas scivolò e la sua caduta fu seguita da un sordo tonfo: Una freccia si piantò nello sportello della carrozza.

Con un balzo repentino, il grassoccio maestro Ugard si fiondò nella carrozza, aiutato dalla spinta di padre George che invece si limitò a sguainare la bastarda. I soldati della guardia con un movimento fluido e veloce portarono lo scudo a fargli ombra, senza variare la posizione e senza fretta non necessaria durante l’esecuzione dell’automatismo. Il tenente chiuse la manona intorno al fusto della freccia, estraendola senza troppo sforzo e saggiando la base della cocca con il pollice poi inspirò e sollevò lo sguardo verso gli alberi ma senza puntarne uno preciso.

- Scendi da lì, dimmi che vuoi, e forse tu ed il tuo amico vi salverete -

La voce del militare aveva una tonalità alta, grattava le orecchie come onde sulla scogliera per il suo timbro, ma più che minacciosa pareva seccata. Dalle fronde non venne nulla, il prigioniero era muto, l’accademico invece implorava il collega religioso, unico senza scudo, di rientrare. Il graduato lasciò scivolare l’aria dalla bocca espirando pesantemente, muovendo un passo in avanti.

- Non sei lì da molto, il tuo tiro è stato parecchio preciso quindi non sei stanco. L’angolazione ti dà su quegli alberi ma non scoccherai di nuovo per non rivelare la tua posizione precisa. Nessuna delle mie sentinelle ha visto dove sei, bravo, ma solo uno, al massimo due uomini possono seguire una compagnia di soldati senza essere individuati o destare sospetto, e l’altro, o gli altri due, non soccheranno rischiando di farsi individuare specialmente con la magra consolazione di prendere uno scudo o un cavallo sprecando l’effetto sorpresa secondario, che comunque ormai sorpresa non è -

La fronte del militare si corrugò in una silente invocazione e terminando poi con una smorfia di impazienza, la sua mano destra muovendosi come sott’acqua si sollevò, e senza che nemmeno finisse di portarsi verso l’alto il resto degli uomini si ritrovò con il teniere della balestra poggiato sullo scudo, spronando i cavalli ad avanzare molto lentamente.

I soldati allargarono il perimetro parecchio prima di scambiarsi i posti a sensi incrociati, in modo da avere sempre sott’occhio il commilitone che lo precedeva, ma non trovarono nulla. Il capobrigata fece un cenno di diniego con il capo, il tenente restò per qualche secondo in silenzio ispirando spazientito, poi, dopo aver mormorato qualcosa, ordinò l’avanzata.

- Ormai è palese che ci seguono - borbottò al capobrigata dopo aver calato il braccio ed accingendosi a rientrare - Prendi la mezzavia -

Prima di notte il convoglio riuscì a svincolarsi dalla foresta e discendere un pendio che consentì alla compagnia di accamparsi per una nottata nervosa ma tutto sommato tranquilla. Il giorno seguente fu impiegato a macinare l’enorme prateria che avrebbe portato ad un fiume nei pressi di un sentiero che si sarebbe dispiegato fra le montagne. Il tragitto scelto dal tenente allungò i tempi di percorrenza di almeno una settimana, ma il sostare due notti in aperta pianura tranquillizzò gli uomini e le due personalità statali che aveva in custodia insieme al prigioniero, che dal canto suo dimostrava una certa noncuranza sia per gli avvenimenti che lo circondavano sia per i futili interrogatori di scienza e religione. Le fermate erano predisposte a circa una mezz’ora abbondante prima del tramonto, durante la quale le guardie a difesa del perimetro svolgevano una ricognizione veloce nei dintorni riservandosi metà del tempo impiegato per ritornare ancora con la luce. La trasparenza dell’aria, l’ampia visibilità della zona ed il particolare silenzio che a tratti calava, rendeva particolarmente semplice identificare minacce esterne, cosa che però non avvenne mai. Il gruppo arrivò all’ingresso del sentiero di montagna con una stima di circa un paio di giorni di vantaggio rispetto agli inseguitori, ammesso che vi fossero ancora. Il sentiero si inoltrava in una gola che era assicurata ad ovest da una ripida e spigolosa parete rocciosa, mentre al lato opposto, proseguendo, il sentiero cedeva in una lunga discesa verso una vallata incasellata fra la catena rocciosa ed una pianura adiacente ad un lago che però era impossibile scorgere da lì, mentre la serie di acquitrini che avevano ai piedi, sebbene ancora parecchio lontani, erano ben visibili attraverso la leggera foschia diurna.

- Un azzardo - Il maestro Ugard era scettico su quella decisione del tenente, aprendosi durante una sosta con il capobrigata - In quella situazione è tutto un azzardo - gli rispose quest’ultimo quasi in maniera pavloviana - che fosse un tentativo di farci cambiare strada era palese, chiunque ci ha attaccati conosce bene la zona, probabile che si aspettasse una deviazione verso sud in direzione della carovaniera per prendere la strada prima del previsto, oppure direttamente il rientro in caserma. Nel primo caso sarebbe stato più facile tendere un agguato, nel secondo - una breve pausa - Chissà, forse avevano già un piano per far uscire il prigioniero di cella, ammesso che l'obiettivo sia lui -
Lo studioso restò perplesso - Come fate a dirlo? Nel senso, perché siete così sicuri che volessero farci tornare indietro oppure farci battere una strada semplice e conosciuta? - Il soldato accennò un sorriso - La freccia - sospirò - L’hanno fatta ad Hops, stesso impennaggio, legno e punta da caccia -

Quella sera i dubbi portarono Ugard in disparte, seduto sul ciglio del burrone giusto dietro la curva che nascondeva il fuoco basso dell’accampamento al prosieguo del sentiero. Tronco ricurvo sull’addome adiposo che faceva da cuscino, ed una pipa da viaggio ricavata da una pannocchia.

- Ti è stato proibito fumare - Disse George andando a sedersi giusto accanto a lui, mimando con la mano per rubare un tiro
- Sono state proibite tante cose - rispose lo studioso in un sospiro, lo sguardo basso e la voce fiacca, i lineamenti all’ingiù come se vi gravassero dei pesi
- Ci stai pensando anche tu, vero? - Esordì il chierico dopo un lungo silenzio - Che è più grave aver ragione che torto? Che se quell’essere insulso fosse davvero un elfo, l’esodo sarebbe reale, ma ben lungi dall’essere la creatura divina e guardiana benevola degli avi -
Ugard soffiò lentamente del fumo dalle narici - Beh, i nani vi sono ancora sebbene pochi e lontani, ed anche terre remote dove girano le tribù pelleverdi, quindi perché non dovrebbero essere esistiti anche gli elfi? Mai negati, è solo che non abbiamo mai trovato nien… -

Ad un tratto l’urlo di un soldato - METTETEVI AL RIPARO! -  

E poc’anzi, altra voce conosciuta - MANNAGGI A JEPPSON! -

Infine il crollo, ed un pezzo di montagna che si portò giù uno dei carri.


sabato 15 dicembre 2018

Prologo: La Cella


Il buio persisteva anche in quel mezzogiorno d’estate, i raggi s’imbucavano fra le feritoie ansimando fra il pulviscolo denso delle segrete che ne spegneva la luce. Respirare l’umido faceva deglutire continuamente e la pelle diventava densa come miele, rendendo ogni posizione scomoda.

George si rimestava la tempia con le dita, avvolto nella sua tonaca da sacerdote, un saio pregiato di colore scuro e stretto in vita da una spessa cintura di cuoio larga quanto un palmo, decorata da lievi rifiniture dorate che richiamavano gli intarsi del pomello della bastarda al fianco.

- Non ci credo, deve esserci un errore per forza - borbottava il chierico come se stesse parlando con qualcuno fino a quando quel monologo fu interrotto dal cigolio della pesante porta di ferro dell’ingresso e dai passi di un gruppo che si dirigeva nella sua direzione.

- La craniometria corrisponde - arrivò in risposta a Padre Geroge in un biascico affannato dove poc’anzi si spalancò l’ingresso, parole che vennero dall’ometto seguito dalle guardie poste ai fianchi e le spalle, questi si fermò davanti alla cella adocchiando il prigioniero per poi affrettarsi a tamponare il sudore con un fazzoletto - L’analisi delle pupille pure, l’elasticità della pelle, l’interrogatorio, il linguaggio - Il nuovo giunto parlava di fretta e si fermò per necessità avendo terminato il fiato, tant’è che dovette indicare ad una guardia sventolandole la mano per poter farsi fare luce, scoprendo finalmente dalle tenebre la figura seduta dietro le sbarre.

Come un soffio sullo strato di polvere, la luce della torcia spazzò via il buio della cella dal viso di Kafraghas rivelandone il viso più sottile del normale, le orecchie a punta ed i capelli argentei tirati all’indietro. Gli occhi non si videro però perché il detenuto, all’avvicinarsi della fiamma, si affrettò a coprirseli con un braccio malcelando un gemito di dolore.

Il Chierico a quel gesto si sporse ancora più curioso ed impaziente per osservare il prigioniero, scosse il capo con un po’ di confusione e, scavalcando con lo sguardo l’ometto, rivolse la sua attenzione anche ad una delle guardie entrate precedentemente che mostrava dei gradi sulla casacca - Il linguaggio sebbene fortemente influenzato dalla musicalità e sonorità tipica della sua razza, risulta in qualche modo comprensibile, come se vivesse nella società umana già da parecchio. Alcuni vocaboli sconosciuti hanno caratteristiche comuni ed una cadenza nel dialogo costante, non è possibile che siano inventati o artefatti. Signori miei - Dopo quelle parole emozionate lo sguardo del religioso si alternò fra l’ometto e la guardia graduata - Ci troviamo di fronte ad un elfo! -

- Un ladro - Borbottò il militare facendo un passo avanti - L’hanno beccato con la casacca piena di salsicce e costolette mentre usciva dal retro della bottega del beccaio! - Esclamò in conclusione l’uomo con una certa nota di scetticismo. A quelle parole l’ometto si fece avanti - Che i diavoli vi portino tenente! Questa creatura può aver rubato per necessità, se ne rende conto? - anche il Prete si fece avanti, rincarando la dose - Il Maestro ha ragione, potrebbe essere l’ultimo esemplare di una specie estinta, voi lo sbattete in cella così? Dovevate interpellarci subito - Terminò Geroge con uno sbuffo, il militare evitò di controbattere limitandosi a soffiare dalle narici, l’uomo definito “maestro” adocchiò il religioso sollevando un sopracciglio - Guarda George, si parla di Esodo degli elfi nelle cronache storiche, non di estinzione - asserì con una voce sottile sostenendo ancora lo sguardo, l’altro di contro gli si piegò in direzione del naso, essendo più alto - Voi, Maestro, dimenticate che nel Tomo sacro si parla di annientamento degli elfi durante la guerra santa, è grazie al loro sacrificio che noi pos..- Il concetto però fu interrotto dall’ometto che, stavolta, alzò la voce - Appunto! Il Tomo sacro! Con tutto il rispetto per Nostro Signore, Padre, ma il Tomo va interpretato, le cronache del tempo parlano di Esodo, che è una conseguenza dell’annientamento! Se dovessimo interpretare tutto alla lettera allora noi mangeremmo solo l..- e nemmeno questa frase trovò senso compiuto dato che incontrò, con tono ancora più elevato, la protesta dell’uomo di fede - A furia di “interpretare” il Tomo, voi accademici state spingendo la nostra società verso la dissoluzione più totale! -
- Ma quale dissoluzione! I tempi sono cambiati! -
- Allora giustifichiamo anche il furto adesso? Chiunque pure con le orecchie a punta è tenuto a rubare? -
- MA se un MINUTO FA eravate d’accordo con me? -
- PER UNA VOLTA che sono d’accordo con voi vedete che succede? Mostro il fianco e vi approfittate della mia debolezza! -
- Siete solo invidioso perché a corte, quando c’è da SAPERE DAVVERO QUALCOSA chiamano il sottoscritto, e non voi! -

- ADESSO BASTA! - Tuonò il militare con gli occhi iniettati di sangue - Che ne facciamo di questo ...Elfo? -

Intanto l’elfo era lì, con lo sguardo sollevato, gli occhi ambrati che riflettevano la luce della torcia in una maniera simile alle retine dei gatti, schiuse le labbra inspirando lentamente, come a prendere fiato prima di parlare, e quel gesto fu imitato anche dai presenti che si zittirono improvvisamente, notando la volontà dello strano prigioniero di esprimersi. Infine, la voce fuoriuscì dalle corde vocali, vibrando tonalità che quel mondo, probabilmente, non sperava più di udire.

- MA MOKK A KIVEMMUORT, MA KE SPACCIMM, MA ME VULIT FA ASCI’ ACCA’ DINT? PE DOJE SASICCE ME STAT RUMPENN O’ CAZZ A DOJE ORE! E K MARONN’! -

Fu il Tenente a rompere il silenzio dopo le parole di Kafraghas, calato un po’ per lo stupore di sentire quella lingua straniera, un po’ per la lentezza nel comprendere il linguaggio della creatura mischiato al Comune, l’idioma in voga in quell’area geografica.

- C’è da prendere una decisione qui - Lo sguardo dell’uomo d’arme saettò sui suoi due “colleghi”, esortandoli spazientito.
- Ovvio, tradurremo il prigioniero verso l’accademia di Hoverdell, così da poter redigere un rapporto dettagliato da presentare al governo -
- Ma siete impazzito? - George sputò le parole come se avesse estratto la bastarda che aveva al fianco - Un viaggio così lungo è pericoloso, meglio portarlo alla città sacra di Jopelyn, i sacerdoti della Parola sapranno certamente interfacciarsi con la reggenza nel modo migliore -
- Ma sentitevi! - Protestò il Maestro - Come volete che si interfaccino i preti? Finiranno per darlo alle fiamme, altroché! -
- Ma per chi ci avete presi? Per dei trogloditi? Le persecuzioni degli eretici sono un ricordo, e poi questo è un elfo, non un eretico! -
- Ma cosa volete saperne voi di anatomia? Medicina? Voi che eseguite complessi rituali per curare un raffreddore, quando basta l’alchimia! -
- Vi fate fregio di rimedi rapidi, ma se vi diamo l’elfo sicuramente ci mettereste anni prima di redigere un rapporto! -
- Ditemi la verità George! Voi volete l’elfo solo per affibbiarvi un qualche merito di provvidenza con il Patriarca! -
- Sentite chi parla! Già vi vedo!: “Maestro Ugard della Contrada, Reggente della prima università di Hoverdell, il suo trattato sugli elfi è il libro di maggior successo nella storia!” -
- MA COME OSATE? LA CONOSCENZA! -
- BLASFEMIA, CONOSCENZA INTERESSATA LA VOSTRA! -

- PER AMORE DELL’ALTISSIMO! GIURO CHE ADESSO VI SBATTO IN CELLA CON L’ELFO - La voce del tenente quasi spaccò i muri mentre i suoi occhi roteavano all’indietro in una silente invocazione, poi, dopo essersi ricomposto ed aver tossicchiato un paio di volte, riprese il discorso - Essendo Il Maestro, massima espressione dell’autorità accademica qui ad Hops, ed essendo Padre George massima espressione del clero qui, sempre ad Hops, ed essendo Hops il fottuto villaggio dove IO sono l’autorità massima in termini di SICUREZZA, e, secondo la legge, sono tenuto a consultarvi ma, alla fine, in meriti di sicurezza beninteso, fare quello che ritengo giusto: il prigioniero lascerà la cella sotto custodia domani, avrà le fattezze celate onde evitare di agitare la plebe e sarà posto su di una carovana organizzata da me medesimo verso la Capitale, lì sarà direttamente il Reggente con il consiglio a decidere il da farsi con il prigioniero - Dopo quelle parole, il Tenente sembrava esausto.
- Verrò con voi - Ugard non perse tempo.
- Anche io - E nemmeno George.
- Metterò uno dei miei uomini come guardia personale ed interprete per il prigioniero - Sentenziò il tenente, gli altri due incrociarono scettici lo sguardo fra di loro, il militare si sentì in dovere di aggiungere - Sicché nessuno travisi la lingua ambigua del prigioniero per proprio tornaconto, uno dei miei uomini era un bandito delle pianure sanguinarie, in quelle terre remote parlano un dialetto arcaico, è la cosa più vicina che ho sentito a questo “elfico” -
Gli altri due incassarono ed annuirono, se non altro non erano stati obbligati a restare ad Hops, Kafraghas vedendo gli uomini allontanarsi tirò un sospiro di sollievo e poggiò la nuca contro il muro.
- Assafà à marònn -