Lo schianto assordante, lo scorrere di urla ed infine il silenzio chiuso da
un candido sipario. Tra la coltre di nebbia si intravedeva la mano che
stringeva l’avambraccio ad uno dei soldati, tirato su da un commilitone, mentre
insieme ad un altro si precipitarono a soccorrere la carrozza capovolta che
sembrava un insetto a pancia all’aria.
Prima fu il monco ad essere tirato fuori, a fatica, dato che il fango non
pareva volerlo lasciare, successivamente passarono al prigioniero di cui, però,
pareva non esserci più traccia.
- Non può essere andato lontano!
- Jonas, uno dei soldati, inveì rivolto verso le altre tre guardie battendo
nervosamente la mano sul telaio - Dobbiamo
avvisare il tenente! - concludendo con una certa agitazione, i suoi
commilitoni Pax ed Anton annuirono all’unisono mentre il monco, dopo essersi
schiarito le idee da quel crollo improvviso, si liberò la bocca impastata
sputando di lato saliva e fango miste alle parole:
- Er Tenente sta ceppa, se ce pija
che se semo persi l’erfo ce corca a tutti. Nun po’ esse annato chissà dove. Pe
dietro nun se torna, ee paludi so immense. Pax, Antò, costeggiate er monte e
beccateve cor tenente, Jò viè con me e trovamo a sto’ deficiente -
Artan, il barbaro delle pianure sanguinarie, istruì i commilitoni senza che
questi osassero fiatare.
Bastò uno sguardo al cielo per avere la certezza di non percepire più il
tempo. Il sole era ormai tramontato e l’abbraccio della nebbia aveva chiuso la
vista al di là del capo, come una coperta sugli avventurieri. Per i soldati era
difficile e fastidioso muoversi dato che i piedi affondavano in un suolo limaccioso
che andava a premere contro il substrato impermeabile formato dai detriti
vegetali accumulati dalla palude, il monco guidava l’avanzata camminando costa
costa ai canneti, indicando di tanto in tanto qualche zona dove era meglio non
mettere i piedi e parlano il meno possibile onde evitare di perdersi l’elfo
che, ipoteticamente, già immaginava boccheggiare fra le sabbie mobili. Jonas ed
Artan si spinsero allontanandosi dalla montagna con l’intenzione di andare
comunque nel verso che portava alla fine del sentiero, disegnando una curva
così da poter fare una ricognizione approfondita, sebbene inaccurata date le
condizioni in cui versavano, ma almeno alla storta si sarebbero ricongiunti al
gruppo. Di “contro” la palude sembrava giocare a loro favore: Lucciole, fuochi
fatui, funghi luminescenti tendevano a dissipare la nebbia ad altezza d’uomo
lasciando solo una leggera cataratta opaca e rendendo quasi pleonastico l’uso
di torce o altre fonti di illuminazione per vedere, limitandole soltanto ad un
uso segnaletico per l’eventuale disperso.
L’estrema ripetitività del paesaggio unita alla nebbia che col tempo
inspessiva al posto del cielo sembrava togliere il fiato. - Credo che dovremmo girare di qua -
Indicò Jonas alla vista di un albero palustre, ma Artan scosse il capo in segno
di diniego - Ma che staje a dì, ‘namo
verso er sud -.
Jonas si fermò un secondo, aggrottando il sopracciglio destro - Ma sud è di là - insistette
Il monco restò per un attimo interdetto - No, deqquà - E senza nemmeno attendere la risposta del compagno
prese a far strada passando anche troppo vicino la pianta notata da Jonas. Una
liana si fiondò sull’apristrada del duetto incontrando però la mano sana
dell’uomo che non si fece problemi a strapparla, sputando una smorfia di
disprezzo. Jonas osservò il compagno muoversi in quell’ambiente ostile senza
risultare però troppo preoccupato per lui.
I lineamenti già duri del volto di Artan si irrigidirono man mano si
apprestava la sera anche se gli elementi luminescenti di quell’ambiente
rendevano l’intensificarsi della nebbia meno opprimente. Jonas ad un certo
punto cadde sulle ginocchia senza più fiato - Non lo troveremo, e ci siamo persi. Torniamo indietro capitano - la
voce era flebile, come l’incarnato del volto ormai sottile e pallido, il monco
con il braccio ad uncino lo tirò su per l’ascella - Nun fa’ er gaggio che se semo sarvati - Indicando oltre.
Su di un acquitrino illuminato da dei funghi verdastri, vi era una sorta di
ponticciolo di legno che a ragion veduta ispirava tutto meno che sicurezza. Vari
ceppi piantati sul fondo e bloccati con effetto di sabbie mobili con delle
travi mal tagliate e troppo infradiciate per restare tranquilli, i due uomini
però videro quella strada artefatta come un sospirato traguardo. A Jonas tornarono
le forze e, nonostante l’instabilità delle pedane si riuscì a proseguire fino
ad un piccolo insediamento interamente costruito su quella zona della palude interamente
sistemata con palafitte, aldilà delle quali il rischio di essere attaccati da
alligatori o chissà cosa era molto concreto. I due soldati presero a muoversi
attraversando alcune costruzioni rialzate che probabilmente fungevano da
abitazioni collegate ai pontili tramite delle scalinate molto strette.
La “piazza” centrale di quell’insolito villaggio era anch’essa
un’accozzaglia di travi capaci di reggere più o meno una cinquantina di persone
tutte insieme, circondata da palafitte indipendenti su cui si ergevano edifici
a più piani, visibili da tutto il villaggio. Ai piedi di uno di questi un
gruppo di pescatori della palude era riunito a parlottare, zittendosi
immediatamente alla vista dei due forestieri. Jonas si avvicinò deglutendo e
respirando con la bocca; la palude era meno maleodorante dei suoi abitanti che
risultavano molto bassi, tozzi ma come privi di spessore. La loro pelle dava
l’idea del budino così come i lineamenti che tendevano ad essere flaccidi e
cadenti, anche chi fra il gruppo era magro conservava comunque un ventre
rigonfio da alcolizzato, mentre ad ogni movimento l’epidermide sotto al mento si
muoveva come se fosse in eccesso.
- Signori - Jonas esordì con fin
troppa educazione anche per lui, puntando gli occhi azzurri su quelli scuri e
vacui incastonati in un bulbo giallastro di uno dei pescatori - Veniamo da nord, dove ci sono le montagne.
Abbiamo avuto un incidente ed il nostro carro è andato distrutto, trasportavamo
un uomo, avete visto un altro forestiero arrivare prima di noi? -
Gli occhi dei pescatori erano tutti incollati sul soldato, ignorando al
momento la figura del commilitone alle sue spalle che lo superava in stazza, i
visi di quegli uomini parevano tutti assomigliarsi nelle caratteristiche
generali, in particolare quello sguardo fisso e vacuo. Tolti i lineamenti del
volto, pareva lo stesso replicato una decina di volte. Uno di loro si fece
avanti, l’età era indefinibile sebbene sembrasse più giovane di molti lì in
mezzo - I troll - asserì come se
stesse trascinandosi la voce in spalla -
I troll attaccano i viaggiatori sui monti - non finì nemmeno la frase che
un altro prese coraggio - Ma qua non
vengono, no, qua affogherebbero - Dopo il primo, il secondo, anche gli
altri presero a parlare ripetendo come una litania: - I troll non vengono qui, siamo al sicuro, nessun forestiero è
arrivato, nessuno, solo voi -
Artan si spazientì e dopo aver sbuffato dalle narici come un toro, pose la
mano sana sulla spalla del compagno e gli fece - Ahò, me stanno a fa venì l’ansia questi. Semo in un fantasy no? ‘Nnamo
nella taverna a chiede. A zio ndò sta a locanda qua? -
I pescatori dopo un paio di secondi interdetti dal dialetto delle pianure
sanguinarie indicarono all’unisono uno degli edifici più alti della piazza. La
scalinata d’accesso dava su due sportelli schiusi in un ambiente scarsamente
illuminato nonostante candele e torce che emanavano comunque uno strano
bagliore verdognolo. Dietro ad un bancone rappezzato vi era un vecchio abituato
a maneggiare boccali incrostati, le poche persone che c’erano sembravano tutti
fratelli e bevevano tutti quanti la stessa cosa.
- Solo questo c’è - sputacchiò il
vecchio oste ai due soldati mettendogli davanti altrettanti boccali che
sembravano contenere del fango diluito
- E che è sta robba? - Ma Artan
buttò giù senza manco attendere la risposta
- Acqua di palude fermentata con bile
di coccodrillo - gracchiò il locandiere
- Li mortacci - tossì il soldato
diventando paonazzo
- E comunque, nessun viandante -
l’oste a questo punto sforzò un sorriso grottesco
- Niente eh? - fece eco Jonas
cercando di distogliere lo sguardo da quei denti marci
- Niente -
La notte ormai era calata da poco e nonostante l’illuminazione naturale era
impossibile muoversi nella palude in sicurezza, dopo l’infruttifero colloquio
con il locandiere i due soldati decisero di affittare una stanza e consumare
una razione militare di emergenza lì.
- C’ho mal de panza - Si
lamentava Artan mentre cercava invano di chiudere la porta
- Quello schifo che ci hanno dato - Concordò Jonas mentre gli borbottava lo
stomaco
- Nun m’a bevo che ‘nsanno gniente
dell’erfo -
- Nemmeno io - Replicò l’altro
mentre tentava di aprire la finestra bloccata
- Famo i turni de guardia, qua manco
se chiude à porta - Sbottò il monco seccato che trasalì al suono della
finestra aperta improvvisamente
- Sta venendo gente - Osservò
Jonas con aria sorpresa
- De sera se vanno pure ‘sti tizi a
beve quarcosa - Andando anche Artan ad affacciarsi
- ...tutto il villaggio –
Entrambi si guardarono in faccia e senza proferire parola si avviarono di
soppiatto verso la porta. La loro stanza era situata alla fine di un corridoio
con altre due camere ai lati e dava su un’ala speculare con in mezzo la rampa
di scale che portava alla sala comune. Non pareva vi fossero altri avventori
quindi fu facile per i due avvicinarsi al bordo della parete per spiare ed
origliare.
- ...Si ma qui non lo troveranno
-
- Sono comunque un pericolo, sono due
soldati armati ed addestrati -
- Ma hai visto quanti ne siamo? -
Il vociare era molto basso, indistinguibile dal tipico mormorio delle
taverne per chi fosse rimasto nelle stanze. Vi erano almeno una cinquantina di
pescatori che sembravano bene o male tutti parenti e nessuno beveva, ad un
tratto una figura più alta, coperta da una tunica sudicia ed addobbata con
vegetazione palustre, sollevò un braccio da cui fuoriuscì quello che sembrava
un tentacolo, a quella vista il vociare si interruppe e restarono tutti in
silenzio a fissarlo.
- L’elfo appartiene alle signore, i
forestieri devono morire - Sibilò con una voce dell’oltretomba.
I due soldati si guardarono di nuovo negli occhi, tesi e veloci mentre i
pescatori cominciarono a mobilitarsi, notarono che avevano arpioni, accette,
balestre e che si dirigevano in maniera spedita verso le scale. Jonas ed Artan
si fiondarono nella stanza immediatamente di fronte senza far rumore, questa
non solo si chiudeva ma aveva pure un chiavistello.
- Che botta de culo - Sputò Artan
quasi sarcastico mentre faceva segno a Jonas di dargli una mano a spostare un
armadio contro la porta dopo aver chiuso il chiavistello
- Che li vuoi affrontare? -
Domandò il soldato con timore, ma il monco gli fece un segno di diniego
indicando una finestra
- So’ troppi, se damo alla macchia,
viè! -
Il suono dei passi rimbombava per quell’edificio pericolante, urla di
disappunto si alzarono quando videro la stanza dei forestieri vuota, i
pescatori però ci misero pochi secondi ad individuare la porta bloccata e
cominciarono a sfondarla a suon di accettate e spallate.
All’interno della stanza i due uomini sfondarono la finestra e dandosi una
mano, un po’ goffamente, riuscirono a raggiungere il tetto mentre quella che
ormai era diventata una folla li inseguiva. Quelli armati di arpioni si
arrampicarono anch’essi mentre gli altri si riversarono in piazza per tentare
un inseguimento dal basso, intanto qualche dardo di balestra cominciò a far
fischiare il vento inutilmente.
Il tetto della locanda, molto più in alto rispetto alla maggior parte degli
edifici, offriva un ottimo riparo dai balestrieri giù. I due soldati corsero
verso un’altra costruzione restando in copertura, separata da circa tre metri
di caduta nelle sabbie mobili. Entrambi saltarono e Jonas, mentre ancora si
metteva sul ginocchio dopo la rotolata, tirò fuori la sua balestra leggera
freddando uno degli inseguitori ancora sul tetto della taverna.
- Daje Jò, te staje a’ imparà eh?!
- Gli sogghignò Artan di sbieco, ricevendo un sorriso ferino - Nnamo deqquà, levamose da sta piazza
demmerda - Il barbaro non ebbe nemmeno tempo di finire la frase che il
commilitone aveva già scoccato un altro dardo e caricato un terzo. Verso
l’interno del villaggio si stagliava una sorta di magazzino lungo almeno
duecento metri, il salto da fare era più lungo ma quantomeno la piattaforma di
atterraggio sarebbe stata più in basso, consentendo agli uomini di poter fare
una parabola e passare così in una zona dove, per essere raggiunti, gli
inseguitori sulle passerelle avrebbero dovuto rifare il giro concedendo qualche
altro minuto di vantaggio.
Il monco ed il biondo, seppur grossi e ben piazzati, riuscirono a spiccare
un salto molto agile con una caduta morbida ma su di un legno talmente marcio
da collassare senza opporre resistenza. Caddero entrambi in una sala molto
ampia ma oscura, il cui olezzo a stento fece trattenere i conati di vomito ai
due, Jonas accese una piccola lanterna schermata accennando a muoversi, ma
trovando subito sulla strada il massiccio avambraccio mozzo e ferrato di Artan
- N’attimo, ce sta quarcosa che nun
và - Disse quasi tossendo
Intorno a loro vi erano dei movimenti nelle ombre, lenti e pastosi,
sollevando la lanterna videro di essere circondati da una moltitudine di esseri
umanoidi le cui carni però parevano fondersi fra di loro, esseri dall’aspetto
semi disciolto con le estremità che sembravano assumere una parvenza ittica:
Capi glabri dalla forma allungata simili a delle seppie, gambe indistinguibili
da braccia sulle cui dita allungate parevano formarsi delle ventose, le bocche
dove non avevano brandelli tentacolari presentavano come delle morse simili a
quelle delle formiche, ed alcuni di questi divoravano cannibalizzando sia il
proprio prossimo che probabilmente se stessi. Intorno ai due guerrieri si alzò
una litania simile ad un canto di dolore che invocava contemporaneamente le
“tre madri” ed il “demone abissale”, intanto all’esterno i passi degli
inseguitori diventavano sempre più vicini.
- Direi di proseguire - soffiò
velocemente Jonas indicando il lato opposto del magazzino senza incontrare
resistenza nemmeno da quegli esseri assurdi che si cannibalizzavano, i due
soldati si lasciarono metà deposito alle spalle, così come gli inseguitori,
fino a quando un forte tonfo nell’oscurità segnò l’ingresso di un’altra
creatura che arrivò sfondando il portone che presumibilmente doveva
rappresentare l’uscita per i fuggitivi.
Un colosso a quattro zampe alto di schiena oltre i tre metri con un capo
grosso quanto una botte da cantina. Innumerevoli occhi da cui fuoriusciva una
luce nera puntavano i due umani mentre una bocca piena di denti si aprì dal
mento fino a metà sterno, infine l’essere partì alla carica. Da vicino quella
cosa puzzava in maniera immonda e sembrava composto di carcasse in putrefazione
e correva senza curarsi di spappolare sotto le zampe piene di artigli le altre
creature innocue.
Jonas, che era più avanti, portò l’avambraccio davanti al naso e vi poggiò
la balestra, scoccando un dardo che affondò nella creatura senza rallentarla
minimamente. Alla vista del bestione che si avvicinava sempre di più, la
litania delle creature deformi che gli rimbombava in testa, la puzza tremenda
che gli strappava i polmoni, cedette e lasciò cadere l’arma rinunciando a
ricaricare e restando imbambolato sulla traiettoria dell’essere. Arrivata nei
pressi di Jonas, la creatura spiccò un balzo facendo tremare tutto il deposito,
scagliandosi sul malcapitato che restava lì confuso mentre balbettava cose
senza senso. La spallata di Artan scagliò a terra il soldato sotto shock
facendo impattare gli artigli del mostro che intanto era lanciato all’attacco
contro il grosso scudo del barbaro, la creatura dopo aver emesso un urlo furioso,
strappò via la protezione in cui aveva ancora gli artigli conficcati
preparandosi ad un nuovo assalto.
Faceva tutt’altro che caldo ma il monco sudava, non posò nemmeno per un
istante lo sguardo sul compagno a terra che si dimenava in mezzo agli esseri amorfi.
Piantò il piede destro in avanti e spostò il peso roteando verso il mostro la grossa
e pesante palla chiodata che aveva assicurata al moncherino con una catena,
agganciata poc’anzi. Come una cometa impattò sulla testa della creatura in un
rumore di carne strappata ed ossa rotte. Stava quasi per ritirare l’arma quando
notò che il mostro restava lì immobile, e di riflesso anche Artan si bloccò per
poi essere richiamato alla realtà da Jonas, ripresosi successivamente all’attacco
del barbaro.
- Non ci inseguono, per qualche motivo
stanno attendendo fuori, tagliamo la corda! - Urlò il soldato in maniera isterica indicando il
portone distrutto dal mostro che dava all’esterno. Il monco tirò appena
nuovamente il braccio e la creatura fece un passo, poi girò il polso fantasma e
l’essere ruotò, infine posò nuovamente lo sguardo su Jonas con una faccia
stralunata ed un sorriso incredulo e divertito sul grugno: - Salta
sù! -